Dovevano essere gli anni della crisi, e invece il 2021 e il 2022 saranno ricordati come un biennio d’oro per le imprese italiane. Come se, di fronte alle incredibili difficoltà legate all’assenza di materie prime, ai vorticosi aumenti dei costi dell’energia e a un’inflazione tornata come negli anni ’80 del secolo scorso a due cifre, gran parte dell’imprenditoria italiana abbia saputo dare il meglio di sé. Il risultato è stato sia un aumento del fatturato (fattore tuttavia legato anche all’aumento delle materie prime), sia, soprattutto, della marginalità che è il vero motore della crescita. Perché marginalità più alte significano maggiore solidità finanziaria e capacità di investimento.
Un biennio talmente brillante che, usando gli stessi parametri degli anni precedenti, le imprese Champions sarebbero raddoppiate. Motivo per cui la rigorosa logica della ricerca del nostro Centro Studi, selezionando le 1.000 entrate a pieno titolo tra le imprese eccellenti, ne ha dovuto lasciare fuori dal perimetro di pubblicazione quasi altre 1.300 che avrebbero ampiamente meritato il titolo.
Ma come è possibile che un tessuto di imprese che fino a due anni fa era ritenuto fragile, al punto che la pubblicistica della maggior parte degli osservatori accusava il Paese di nanismo industriale e proseguiva imperterrito nel considerare le dimensioni dell’impresa come l’unico fattore degno di interesse, sia stato capace di reagire così bene alle crisi, tanto da guidare a livello europeo una ripresa assai più forte di quella di Francia e Germania e dei loro iper-celebrati colossi industriali?
Per chi conosce da vicino queste imprese, la risposta è piuttosto semplice. Nei momenti di crisi, quando serve reagire in modo flessibile ai mutamenti del mercato, i tempi di reazione sono determinanti. Mentre le grandi organizzazioni complesse impiegano mesi, se non anni, a operare svolte, le PMI sono rapide e veloci nel cambiare la propria organizzazione, la filiera di fornitura e in certi casi perfino il loro prodotto.
Basti pensare alla gestione dei processi organizzativi, che nella teoria avevano come pilastro l’eliminazione delle scorte di magazzino: le imprese Champions, che hanno costruito la loro fortuna anche sulla lean production, hanno saputo per prime reinterpretare quella filosofia che altri avrebbero applicato come fosse un manuale tecnico. Tenendo al centro l’attenzione al cliente, hanno riempito i magazzini in modo da essere in grado di garantire le forniture in tempo. Ne sono un esempio quei casi, come vale per la padovana Carel, in cui a fronte di momenti di crisi già manifestatisi in passato si era riorganizzata la produzione attraverso un modello di multilocalizzazione tale da poter continuare a produrre negli Stati Uniti quando la Cina è stata chiusa per il Covid, e viceversa. Queste scelte, come la ridondanza degli investimentisul fronte produttivo, sono sempre state lontane dalle teorizzazioni del caso, e frutto invece di uno sguardo sul futuro che solo imprese capaci di investire prima di tutto su se stesse – anziché pensare solo a distribuire lauti dividendi – sono in grado di applicare.
È forse un ritorno all’inno del piccolo è bello? No, tutt’altro. Imprese come queste, totalmente estranee a qualsiasi approccio ideologico, hanno un solo obiettivo: crescere. Ma se per loro crescere è quasi un’ossessione, il percorso evolutivo è allo stesso tempo concepito in maniera tutt’altro che ideologica: la crescita va perseguita ma non può essere gonfiata artificialmente. Questo è testimoniato dall’approccio al M&A, che viene applicato in modo pragmatico senza inseguire logiche al rialzo imposte da alcuni fondi carichi di liquidità. Le Champions, da questo punto di vista, aiutate spesso anche da fondi più consapevoli, tendono ad acquisire aziende con valori compatibili con le reali prospettive di crescita, spesso in mercati nei quali non sono ancora presenti.
Pragmatismo e velocità nel cambiamento sono dunque le caratteristiche che hanno permesso alle aziende italiane di crescere in una fase contrassegnata dal sovrapporsi di diverse crisi. Ma, se questi due anni sono andati così, il futuro potrebbe porre nuove sfide. La prima riguarda il fronte della liquidità nel caso in cui dovessero manifestarsi nuove tensioni sul fronte del credito, ma questo non costituisce un problema considerando che in questi anni hanno quadruplicato la loro disponibilità di cassa. La seconda sfida riguarda il fatto che le sfide sui mercati globali torneranno a giocarsi anche sul fronte dimensionale, motivo per cui le imprese dovranno accelerare il loro percorso di crescita e presidio della catena del valore. In ogni caso si tratta di punti delicati, ostacoli da superare. Anche tra le Champions, ad uscirne vincenti saranno solo quelle capaci di strutturarsi con modelli manageriali adeguati.