9 racconti. Un libro uscito in America nel 1984 e ora ripubblicato dopo una nuova traduzione: “Ballo di famiglia” di David Leavitt. Racconti banali, di vita quotidiana squarciati qua e là da una frase, un piccolo fatto, una verità da tutti sconosciuta. Quasi come fossero dei piccoli quadri di Fontana: monocolori e tagliati. La famiglia al centro in uno swing fatto di amori omosessuali, coppie che si disgregano, madri e padri che reggono a mala pena la sopravvivenza. Un’America che appartiene a quella middle class che balla inconsapevolmente: un’onda che ha attraversato l’oceano per raggiungere l’Europa. Leavitt, all’epoca ventitreenne, usa una scrittura incisiva, spesso malinconica, ironica, con un uso del presente a volte disturbante. È come se registrasse con la sua Super 8 scene di straordinario cambiamento. A distanza di 35 anni un libro ancora in grado di raccontarci l’oggi. Come se solo la tecnologia, i luoghi fossero cambiati. Non gli attori. Non l’atmosfera. Non i sentimenti. Non la parola. Come a dirci quanto importante siano stati gli anni ottanta. La vera nascita del moderno. 9 racconti, uno inedito. Si sente nell’aria un ritorno al racconto. Quello che non richiede una trama importante, ma si sostiene con la capacità visiva dell’autore e la capacità uditiva del lettore nel cogliere i segnali di bordo; quello di confine che è stato sdoganato a vita comune.