Macondo, quindici anni, quoziente intellettivo da capogiro, lettore vorace con il mito di Sherlock Holmes e Martin Mystère, una passione inconfessata per la Bea, vuole scoprire che cosa c’è davvero nel suo passato. È una zona buia troppo grande per ignorarla, ma l’amatissima nonna, l’anticonformista artista cilena Roçío Sánchez, che pur conosce ogni verità, è determinata a rivelargliela solo dopo il traguardo dei diciotto anni: nel frattempo custodisce ciò che c’è da custodire dentro una scatola inaccessibile, lassù, sull’ultimo scaffale del suo studio. Animo da detective, e scatola fuori portata, Macondo comincia un’indagine personale, raccogliendo indizi e aneddoti che carpisce dalla tribù di amici di Roçío spesso radunati a casa loro, e dai foglietti che la nonna gli scrive strappandoli da un blocchetto che porta sempre appeso al collo: un intervento alla gola le ha portato via la voce e lei rimedia così, matita alla mano.
Macondo scoprirà presto di portare inscritto nel nome ben più del senso di solitudine ispirato dal paese inventato da Gabriel García Márquez: nel suo nome è racchiusa tutta la sua storia. La sua ricerca d’identità diventa allora un cammino sia verso sé stesso, sia verso chi lo ha amato, un percorso che lo conduce fino all’Istante largo, soggetto di un quadro della nonna, ma soprattutto epifania di un momento che apre le porte della consapevolezza: la famiglia non è necessariamente una struttura costruita a priori, ma può assumere le forme più diverse, spuntare in situazioni in cui i legami di sangue non ricoprono alcun ruolo, diventare uno spazio immenso per chi ama.