L’ironia è merce rara. L’autoironia a qualcosa in più: si districa nei bassifondi della vita di ognuno di noi ed è normale che la luce del giorno se ne dimentichi. Per portarla a prendere ossigeno bisogna aver superato alcune soglie del dolore perché solo questo ha la capacità di scalare le proprie certezze. Dopo il nostro lockdown dovremmo averne accumulata per l’inverno prossimo. David Sedaris in “Calypso” compie una operazione in più: guarda il suo incedere osservandolo dall’oblo del suo sommergibile in una navigazione che scandaglia posti diversi.
21 racconti, con dentro altrettanti racconti, che incrociano famiglia, amore, vicini (di casa) e lontani (di patria). Se un senso bisogna trovarlo non si riuscirà mai a scoprirlo in questo libro. Ma tutto necessità di senso o la ricerca di senso è la misura della nostra patologia? “Calypso” va sorseggiato come un divertissement; uno spazio in cui leggere una montagna di sciocchezze come solo la quotidianità ci può dare. Ma la differenza la fa – e Sedaris ne è abilissimo – chi sa pizzicarle e appenderle nello stendino della vita. Perché loro si asciugheranno, questo è certo.
Un libro perfetto come un aperitivo fatto dalle inutili olive taggiasche che ti salvano la cena; ottimo per congiungersi al sonno prima di decidere di andare a letto; salvifico per ricordarci che la vita va oltre i virus, e le loro non presenza; unico per voltare la pagina del cattivo umore del titolone che campeggia nel tuo giornale che oggi è importante e domani, tutti lo sanno e tutti se lo dimenticano, al massimo serve a fare carta per la stufa. O qualcos’altro…