Occhetto, lei ha appena pubblicato un libro, intitolato “Una forma di futuro”, scritto durante il lockdown della prima ondata. Come fogli, lei dice, messi in una bottiglia, gettata nel grande oceano del dolore.
E’ un libro di speranza, al di là del dolore?
Con questo libro ho cercato di ridisegnare il profilo di una forza riformatrice in grado di interpretare i cambiamenti in corso, non solo con la ragione, ma facendo anche vibrare le emozioni. Accompagno il lettore durante la pandemia, giorno dopo giorno, mostrandogli come il Covid abbia alzato il velo non solo sulle disuguaglianze, vistose e inaccettabili, di fronte alla malattia, ma anche sui veri virus epocali e sul crollo all’unisono di tutte le forze del mondo. E’ bastato un pipistrello, che ha infettato un uomo in un paese lontano e sconosciuto della Cina, per mettere definitivamente a nudo le debolezze di tutti. Il virus ha fatto capire, una volta per tutte, come non esistano più mercati nazionali e ristretti, ma solo un mercato, immenso e globale, che ci comprende tutti. Il Covid ha scoperchiato con la sua maledetta ondata tutti i virus maledetti del mondo.
Lei scrive che dobbiamo avere il coraggio di guardare oltre le polemiche in cui siamo invischiati. Come si esce dallo stallo?
Il libro è anche un invito ad andare oltre le polemiche isteriche di questi giorni e a pensare al futuro come a una medicina dell’anima. E’ proprio questa contingenza drammatica a costringerci a guardare oltre, ad affrontare i temi dello sviluppo e degli investimenti necessari per salvare il mondo. Il vero tema sono le risorse e il loro collocamento. Io dico che tutte le misure, che saranno prese, dovranno ruotare intorno a un perno. Un perno che superi l’idolatria del pil e metta al centro una nuova qualità della crescita, al momento in gran parte compromessa. Il perno di un new deal ecosostenibile, che non consideri l’ambiente solo come una pagina a parte. E’ questa l’unica alternativa a quanti sostengono che, per far fronte alla drammatica emergenza della pandemia, ci si debba inevitabilmente indebitare sempre di più. Dobbiamo trovare, invece, forme di investimento che siano autosufficienti, che ci possano garantire l’autofinanziamento, in luogo della corsa verso il precipizio dell’indebitamento a oltranza.
Ci può fare un esempio concreto di un investimento, che possa garantire l’autofinanziamento?
Gliene faccio uno concretissimo. Se in Italia si perseguissero tutte le politiche ecosostenibili possibili, noi potremmo ricavarne un introito di 370 miliardi di euro e 2,2 milioni di posti di lavoro in più. In soli cinque anni, senza contrarre altri debiti.
I nazionalismi, però, non le sembra che resistano e si compattino?
Si vedono e si sentono tentazioni nazionalistiche i un po’ dappertutto. Il nuovo soggetto democratico dovrà imboccare senza tentennamenti la strada opposta di un sovranismo sovranazionale. Greta non ha detto “ascoltate me”. Ha detto “ascoltate gli scienziati”. I potenti della terra continuano a non ascoltarli. E se il grido di Greta sarà ancora ignorato, l’unica strada percorribile sarà quella di una rivoluzione popolare, gentile e democratica. In un capitolo del libro, a un certo punto io esclamo: “Ragazzi di tutto il mondo unitevi”. Perché solo i ragazzi di oggi ci fanno intravedere l’alba di un nuovo internazionalismo. Contro le miopie nazionalistiche sbandierate dalle classi politiche. in giro per il mondo. I giovani hanno capito che è l’umanità intera che deve combattere le grandi battaglie che ci attendono, in primis quella per uno sviluppo ecosostenibile. E che l’Europa deve diventare la vera Europa, quella sognata da Altiero Spinelli nel confino di Ventotene. Una Europa politica, che dia vita a un soggetto forte, autonomo e sovrazionale, e non sia più l’attuale stanza di compensazione dei nazionalismi e degli egoismi degli Stati membri.
A proposito di tentazioni autoritarie, sa che qualcuno ha pensato, lo scrive anche lei, che con un dittatore vecchio stampo dal Covid ne saremmo usciti prima e meglio?
Sì, non possiamo far finta di niente. In molti si sono interrogati, durante la pandemia, se un dittatore sarebbe stato più efficace della democrazia. Io dico forte e chiaro: no, meglio la democrazia. Però, dobbiamo stare attenti. C’è una crisi generale della liberaldemocrazia. Il populismo non può essere più combattuto con i vecchi slogan. I populisti hanno ragione quando parlano di una sovranità, politica, economica, finanziaria, messa in pericolo. Sbagliano quando vogliono restringerla nei vecchi confini nazionali. Il sovranismo è diventato un oggetto misterioso. Io dico che bisogna democratizzare la globalizzazione, perché in un mondo, non più divisibile, la democrazia è di tutti o di nessuno.
La sinistra annaspa. E’ timida e confusa. Quali sono, secondo lei, le ragioni più profonde, magari quelle di cui nessuno parla?
Il vero dramma della sinistra è pensare che la battaglia sia ancora fra conservatorismo e innovazione. In questo millennio il vero conflitto sarà tutto solo sulla direzione che deve assumere la modernità. Non basta, come sento invocare da molti all’interno della sinistra, investire per un Paese più moderno. Bisogna investire per una società, che unisca modernità e giustizia e che guardi al futuro con gli occhi della sofferenza globale. Guardando dentro il mondo degli esclusi, degli invisibili. Fino a quando per la sinistra gli invisibili non esistono, non sarà mai una sinistra.
Anche la politica si è arenata. Ha bandito il ragionamento ed esibisce solo il volto trito degli slogan, delle contrapposizioni strumentali e delle ripicche. Come si esce dal guado?
La politica va urgentemente riformata, bisogna liberarla, innanzi tutto, dalle personalizzazioni e dai leaderismi. Io nel libro attacco senza remore il mondo dell’informazione democratica. Molti dei miasmi del populismo sono nati all’interno del campo democratico. Pensi a quanta esagerata importanza è stata data, a sinistra, alla funzione e al ruolo del leader. L’idea del leader, in rapporto diretto con il popolo, l’abbiamo coltivata noi, molto prima che diventasse il cavallo di battaglia dei populisti.
Che cosa pensa delle liti che, al di là delle personalizzazioni, mi sembrano quelle di un condominio o di un pollaio?
La pandemia la divido in tre fasi. Nelle prime due, quelle dell’emergenza sanitaria nella prima e nella seconda ondata del contagio, sarebbe stata auspicabile una solidarietà nazionale, che non c’è. Nella terza fase, quella che guarderà a al futuro, bisognerà decidere quale è l’orizzonte e correre, una volta che lo si è scelto, affrontare senza paura tutti i rischi connessi a ogni alternativa profonda. Il rischio, di contrapposizioni chiare e nette fra centrodestra e centrosinistra. Mettendo in conto anche la possibilità di perdere una battaglia, in cambio della futura vittoria strategica. Io penso, e lo si dovrebbe insegnare anche a scuola ai ragazzi delle medie, che è meglio perdere con le proprie idee, piuttosto che vincere con quelle degli altri. Invoco la formazione di un campo progressista che vada oltre i diversi tragitti individuali e collettivi. Che non metta insieme i vecchi cocci, dei cocci frantumati non se ne può più, ma dia vita a una costituente delle idee, che coinvolga non solo il Pd, ma tutta la democrazia militante, tutte le componenti, sia a destra che a sinistra del Pd, ciascuna peraltro in una evidente crisi d’identità, senza eccezioni. Tutte inconsapevoli del salto epocale, che ci sta di fronte. Invoco un campo magnetico, capace non solo di fermare la destra, ma di aprire una prospettiva nuova e rivoluzionaria per l’Italia e per il mondo.
*Ecodaipalazzi.it, 13 novembre 2020