Negli ultimi anni, due grandi crisi hanno definito l’Europa: quella del debito sovrano dell’Eurozona nel 2010 e quella del Covid-19 del 2020.
Dal punto di vista economico, si tratta di due eventi diametralmente opposti. La crisi del debito sovrano è stata un evento asimmetrico, le cui origini erano profondamente radicate in scelte di politica economica nazionale. È stato il prodotto di un decennio di divergenza, ma ha innescato una convergenza senza precedenti dei paesi dell’euro-Sud verso il modello macroeconomico dei paesi dell’euro-Nord. Dal punto di vista politico, ha aperto una profonda frattura sul tema della solidarietà all’interno dell’Unione economica e monetaria e fatto emergere la narrativa di un’Europa divisa tra “santi” e “peccatori”.
Questa narrativa ha immobilizzato il dibattito degli ultimi anni sulla riforma della governance macroeconomica dell’Uem, benché l’esperienza dei paesi euro dopo la crisi finanziaria globale dimostri chiaramente che i modelli di crescita siano tutto fuorché statici. Tramite una dolorosa svalutazione reale e una serie di riforme strutturali che hanno stravolto il loro modello economico, i paesi soggetti a programma di aggiustamento macroeconomico di Unione europea e Fondo monetario hanno riguadagnato competitività esterna e – cosa fondamentale – sono tornati a crescere dal 2014. Ciò ha permesso di ridurre progressivamente la disoccupazione e di mettere il debito pubblico su una traiettoria discendente.
Per l’Italia l’aggiustamento profondo non c’è stato e la crisi è stata un’occasione mancata per mettere mano a debolezze strutturali note da lunga data. La “pecora nera”, come la definisco in un libro appena pubblicato, già prima del Covid-19 rischiava infatti di rimanere imprigionata in un circolo vizioso di stagnazione economica, emigrazione, elevata disoccupazione, povertà, e disuguaglianza. Le conseguenze sociali di questo “eccezionalismo” economico sono profonde e quelle politiche dirompenti – come evidente nel successo eccezionale di partiti e movimenti populisti ed euroscettici negli ultimi anni.
Questa era la situazione del nostro paese quando è arrivata la pandemia. Il Covid-19 è uno shock diametralmente opposto a quello della crisi del debito sovrano. Si tratta infatti di un evento simmetrico con origini completamente esogene alla politica economica. Dal punto di vista economico, rischia di innescare una ripresa asimmetrica e acuire le diseguaglianze economiche e sociali preesistenti all’interno di singoli paesi – il nostro in particolare, come evidente nei dati più recenti sulle dinamiche reddituali del 2020. Dal punto di vista politico, è una crisi che a prima vista sembra costituire un’occasione non controversa per dispiegare solidarietà fiscale a livello europeo – proprio per non compromettere quella convergenza difficilmente raggiunta negli ultimi anni.
Ma se l’accordo su Next Generation EU è storico, non si spinge però a mutualizzare il debito, come auspicato da chi sperava in un “momento hamiltoniano” europeo, e la sua negoziazione è stata dominata da recriminazioni e tensioni fin troppo familiari.
La “questione Italia”
Perché questo shock economico esogeno e di proporzioni storicamente senza precedenti non è stato sufficiente a produrre un definitivo superamento della frattura tra euro Nord e Sud, sul tema della solidarietà fiscale nell’Uem? Nel mio libro cerco di mettere in luce come per rispondere alla domanda sia necessario analizzare con lucidità la situazione in cui si trova oggi l’Italia.
Il nostro paese è il fulcro di un dilemma economico e politico per Bruxelles. Da un lato, a causa delle condizioni macroeconomiche preesistenti al Covid-19, l’Italia è il paese che oggi ha più bisogno della solidarietà fiscale Ue. Dall’altro, trovare un accordo sulla solidarietà si è rivelato particolarmente difficile proprio perché ad averne più bisogno è l’Italia. Il fatto che il nostro paese incarni oggi un chiaro caso di mancato aggiustamento economico, ci priva del capitale politico necessario per avanzare rivendicazioni forti in tema di solidarietà fiscale. Storicamente, un leitmotiv dell’approccio italiano alle relazioni di economia politica internazionale è l’idea che i nostri creditori non possano permettersi di farci fallire. È un tema che, come molti ricorderanno, ha dominato la narrativa della crisi del 2011-2012. Ma nel 2020, siamo ancora sicuri che sia così? Il libro è un tentativo di stimolare la consapevolezza che questo approccio al ruolo dell’Italia in Europa oggi non è più sostenibile.
La solidarietà fiscale europea che politici e commentatori nostrani spesso si affannano ad invocare come panacea ai problemi del paese, oggi c’è. E la sua manifestazione più chiara risiede proprio nel fatto che l’Italia è l’unico paese contribuente netto al bilancio UE a beneficiare di un trasferimento fiscale netto nel contesto del pacchetto Next Generation EU. Ma si tratta di un atto di fede da parte dei nostri partner europei in quello che oggi rischia di diventare l’anello più debole dell’Uem – o forse lo è già. Dal nostro punto di vista, la solidarietà che ci è stata garantita crea la responsabilità di assicurarci che la fiducia non sia stata mal riposta. Il rischio non sarebbe solo quello di sprecare fondi europei – come già ampiamente successo in passato – ma di arrestare sul nascere il primo timido passo in direzione di un’unione fiscale e di cristallizzare il nostro isolamento. Questa responsabilità passa inevitabilmente dall’ammettere che l’Italia oggi è diventata un’idiosincrasia – economica e politica – nell’Uem. La mia speranza nello scrivere il libro è che possa servire a mettere in luce chiaramente gli aspetti più problematici dell’“eccezionalismo” che oggi caratterizza il nostro paese e le priorità che dobbiamo darci per superarlo.
*lavoce.info, 19/11/2020