Le organizzazioni sono piene di persone con capacità imprenditoriali inespresse che non sempre trovano le condizioni adatte per rivelare pienamente il loro potenziale. La conseguenza? Nel migliore dei casi si adattano e fanno diligentemente quanto viene loro ordinato, per evitare di vedersi rallentata la carriera. Nei casi peggiori si rassegnano, demotivate fino alla frustrazione. In alcune situazioni arrivano a lasciare l’azienda. E la cosa singolare è che qualche manager considera queste decisioni opportunità inaspettate (un irrequieto in meno da gestire), piuttosto che occasioni mancate e una perdita secca di capitale intangibile.
Insomma, le aziende non rappresentano generalmente il posto ideale per fare lo startupper. La buona notizia è che un numero crescente di organizzazioni (anche fra quelle più tradizionali e regolate) si sta chiedendo come si possano gestire l’energia e l’intraprendenza interna senza ucciderle nella culla.
La tesi del libro è che si può diventare imprenditori all’interno di un’organizzazione senza doversi mettere in proprio. Servono due ingredienti: da un lato, aziende disponibili a creare e mettere a disposizione spazi di espressione non momentanei e persone pronte a occuparli con coraggio e impegno; dall’altro, pochi ma chiari meccanismi per gestire tali spazi e una cassetta degli attrezzi per trasformare problemi e sfide in soluzioni concrete.