Vi racconto la mia ossessione per Lee Miller, nuda e insolente nella vasca del Führer
Nel 1946 scattò quella foto nella casa del dittatore e rivelò la banalità piccolo borghese del mostro. Ho voluto raccontare la sua vita provocatoria di reporter di guerra, musa di Picasso e Man Ray
I libri in genere nascono per caso e poi diventano un’ossessione. Almeno a me è capitato così. Stavo scrivendo il Catalogo delle donne valorose e ogni giorno mi immergevo nella lettura delle biografie di pioniere, eroine, cattive maestre, artiste e scienziate che avevano partecipato al progresso dell’umanità in tutti campi ma erano rimaste invisibili, cancellate sistematicamente dalla solita cecità di genere. Avevo deciso nel mio piccolo di accendere dei riflettori su queste storie dimenticate e la mia lista si arricchiva ogni giorno di nuovi incredibili personaggi. E così mi sono imbattuta casualmente in una fotografia che mi ha folgorata: è uno scatto in bianco e nero datato 30 aprile 1946 e mostra all’interno di un’anonima sala da bagno una donna bellissima, immersa in una vasca. La donna guarda verso di noi con uno sguardo penetrante e feroce. Appoggiato alle mattonelle candide un ritratto di Adolf Hitler e, abbandonati sul tappetino, degli stivali inzaccherati di fango. Così ho conosciuto Lee Miller, modella e fotografa, artista originale e fotoreporter di guerra, ma soprattutto una donna libera, e in una maniera così spregiudicata che ancora oggi non finisce di meravigliare anche chi, come me, credeva di aver infranto svariati tabù insieme alle amiche, negli anni Settanta. Respirare l’indipendenza che emanava questa ragazza d’altri tempi mi ha caricato di una nuova energia e ho subito desiderato riportare alla luce la sua vita avventurosa, che ha attraversato il Novecento sempre al posto giusto nel momento giusto, sempre al centro degli avvenimenti che hanno fatto la storia.
Ho cominciato a consultare libri e vecchie riviste e piano piano, quasi senza accorgermene, sono entrata come un’ospite clandestina nella sua esistenza. Le vite degli altri sono piene di fascino perché ci aiutano a scoprire i lati più oscuri del nostro vissuto e, se siamo fortunati, rivelano i sogni che abbiamo coltivato ma che non sempre siamo riusciti a portare a compimento. Pur essendo nata più di cinquant’anni dopo Lee, non possiedo un briciolo della sua determinazione e della sua spavalderia: lei è stata una ragazza bellissima, fotomodella di Vogue, musa di Man Ray, amica di Pablo Picasso che l’ha dipinta in sei ritratti sfolgoranti. Ma nonostante questo percorso eccezionale che avrebbe fatto invidia a chiunque, Lee Miller sceglie di abbandonare i panni della femme fatale e di passare dietro all’obiettivo per diventare lei stessa fotografa, una scelta decisamente audace per una ragazza degli anni Venti del Novecento. «Preferisco fare una fotografia che essere una fotografia»: è questa l’ultima frase di Lee che annoto sul taccuino prima di essere costretta ad abbandonare la mia eroina per affrontare un lavoro televisivo per Rai Tre. Un cortocircuito un po’ folle, perché gli sketch comici che preparo con i miei autori si mescolano agli appunti del nuovo romanzo e i populismi che avevano portato alla Seconda guerra mondiale si accavallano con l’attualità che devo frequentare per affrontare il varietà di satira. Un intreccio inestricabile, che inaspettatamente mi rivela risvolti inediti della nostra contemporaneità.
Poi arriva il Covid e tutto si ferma. Improvvisamente, davanti alla terribile pandemia che colpisce tutto il mondo, sembra che niente abbia più importanza. Ho sentito di altri, scrittori e scrittrici, rimasti con la penna a mezz’aria, incapaci di tenere il filo delle storie che stavano imbastendo con passione. L’onda d’urto della paura e l’incapacità di interpretare la realtà prendono il sopravvento e fanno sembrare ogni altro scenario inutile e senza valore. Mi ritrovo anch’io da sola davanti alle mie scartoffie, alla ricerca come tutti di un senso, e ancora una volta la foto che mi aveva colpito all’inizio mi richiama da questo stato di paralisi creativa. Le generazioni che ci hanno preceduto hanno affrontato la devastazione di una guerra grazie ad una resilienza di cui oggi dobbiamo far tesoro. Come sempre, il passato ci può illuminare quando ci sentiamo perduti nel buio. La ragazza che sto inseguendo allo scoppio della Seconda guerra mondiale decide di trasformarsi in fotografa di guerra ed è tra le prime fotoreporter ad entrare in un campo di concentramento dopo la liberazione. Cercate i suoi scatti: sono ancora oggi un pugno nello stomaco in grado di mettere a tacere ogni velleità negazionista. La foto della vasca che mi ha così colpito non fa parte, però, del suo lavoro ufficiale. Lee Miller la realizza nel vero bagno di Hitler, nella casa del Führer a Monaco di Baviera: un alloggio piccolo borghese pieno di arredi dozzinali che non lascia intravedere la diabolicità dell’uomo che l’aveva abitato. Lee ancora una volta si trova lì per caso, dopo che l’appartamento era stato requisito dagli Alleati, e decide di inscenare quello scatto quasi teatrale immergendosi nuda nella vasca del Führer. Un atto insolente contro la brutalità del potere, la vendetta artistica di una militante surrealista che ha perduto l’anima tra gli orrori di Buchenwald e Dachau e per sopravvivere compie un gesto provocatorio. Quasi un personale regolamento di conti.
Sono passati oltre settant’anni, eppure questa fotografia scavalca il tempo e può ancora raccontarci qualcosa di prezioso sulla forza eversiva della libertà. Quando ho finito di scrivere il libro l’Italia era ancora imbambolata da un’estate che sembrava illusoriamente aver fatto evaporare la pandemia ma ora che La vasca del Führer sta uscendo in libreria siamo ripiombati nello sconforto della seconda ondata. Per rispetto delle regole non potrò incontrare il pubblico né condividere in «presenza» le emozioni che mi auguro questo lavoro riesca a suscitare. E tuttavia, sono convinta che l’ultima pagina di un libro la scrivano sempre i lettori perciò, anche se non sono una nativa digitale, non vedo l’ora – almeno virtualmente – di concludere insieme a voi questa esperienza e capire finalmente perché ha rapito la mia immaginazione. Senza i suoi lettori, chi scrive non riuscirà mai a mettere veramente la parola fine al suo lavoro e aspetto il vostro giudizio per liberarmi definitivamente da questa magnifica ossessione.