La terza indagine della commissaria Battaglia porta fino ai Balcani. Segue una ragazzina che “vede” nei suoi incubi un coetaneo scomparso
Il commissario Teresa Battaglia va di fretta. Non sa quanto tempo le è ancora concesso «dalla mente capricciosa che si ritrova». Annota furiosamente sul taccuino quel che pensa e dissemina bigliettini per casa «come indizi su sé stessa», perché teme che la malattia che la minaccia la cancelli, la trasformi «in qualcuno che non avrebbe riconosciuto né che alla fine l’avrebbe riconosciuta». Teresa Battaglia è una donna dalla parte sbagliata dei cinquanta, con un fisico ammaccato e un passato oscuro, «inciampata nella vita, rotolando giù e portandosi addosso ogni granello di fango… quante ne aveva passate». Teresa Battaglia non sa cosa sia il glamour, è una «donna stramba, con un ridicolo caschetto di capelli color magma, che in natura di certo non trovava paragoni». Eppure alla fine del libro gliene viene regalato miracolosamente uno, di paragone: quello del pelo di una volpe, come lei selvatica e saggia – esplicita la citazione del Piccolo Principe di Saint Exupery – guidata da un infallibile istinto, che le permette di vagare tra misteri e nebbie del suo Friuli senza perdersi mai. Terrorizzata soltanto dalla nebbia vera, quella che potrebbe portarle via la sua mente scintillante.
Teresa Battaglia è la meravigliosa e stramba creatura dell’artista e scrittrice friulana Ilaria Tuti, che ha regalato alla sua detective un cuore grande, un carattere indomito e il «cognomen omen» della fiera fotografa siciliana Letizia Battaglia. In Luce della notte ritorna a indagare nei misteri del Nord Est, la sua natura selvatica e le sue origini arcaiche, con una scrittura di notevole forza visiva e sensoriale. Fin dalle prime pagine si viene avvolti in fredde nuvole di ghiaccio, profumi intensi di resina d’abete e silenzi incontaminati, echi di foreste d’inverno dove si dice vivano i Krampus, i diavoli dei boschi, che secondo la leggenda vagano alla ricerca dei bambini cattivi, sospesi tra il nostro mondo e l’imperscrutabile. E di bambini perduti parla questa storia: di un bambino scomparso e dimenticato da tutti, tranne che da una bambina che lo incontra nei suoi incubi. Una bambina molto speciale, perché non vede la luce del giorno da anni, colpa di una malattia genetica misteriosa che la condanna a vivere al buio: forse per questo Chiara vive in una terra incerta tra sogno e realtà e si fida delle parole notturne più che di quelle della logica e della razionalità diurna. E in un sogno, scavando alle radici di un albero, è emerso il ricordo di un bambino. Non è facile credere a un sogno, ma Teresa Battaglia sente che la fragile e coraggiosissima Chiara ha messo le mani su qualcosa di vero e di terribile e non esita a mettersi in gioco.
Inizia così un’indagine tutta condotta sul confine, non solo quello tra sogno e realtà, ma quello bruciante e sofferto tra popoli e nazioni. Già, perché il Nord Est è una terra difficile «che richiede coraggio: sotto le apparenze poggia le fondamenta su strappi ardui da sanare» e «i confini sono fratture» che corrono sulla terra, spaccano il mondo, «un crocevia di passi giunti da lontano, sospinti da venti di guerra». Qui passa la rotta dei Balcani Occidentali, attraverso cui, a metà degli Anni Novanta, sono fuggite dal conflitto jugoslavo in tre anni poco più di due milioni di persone. Alcuni di loro, i più piccoli, i più fragili, su quella rotta si sono persi. Sono i bambini nella nebbia, mai registrati, finiti a lavorare come schiavi nelle aziende manifatturiere, a due passi dal cuore finanziario e avveniristico delle metropoli, e sono quelli fortunati. Come ritrovare il bambino senza nome che chiama Chiara in sogno? Con «dedizione, fiducia e ossessione», dice Teresa Battaglia al suo sottoposto, il giovane e perplesso ispettore Marini, che quasi suo malgrado la accompagna anche in questa avventura.
Gli indizi e i testimoni sono pochi: c’è un vecchio spietato e rancoroso, che preferisce morire invece di confessare, aggrappato ai suoi segreti, l’ultimo potere che ha: «Elaborare la vecchiaia comporta attraversare un lutto, fare i conti con tante perdite, ultima quella della vita. E una delle prima fasi del lutto è la rabbia». E c’è un giovane mafioso kosovaro tatuato con cui il commissario stranamente trova un punto di incontro. Ma d’altronde Teresa Battaglia è un’esperta di anime al confine. «Che incanto è l’umanità dolente – pensa – la bellezza sacra e commovente della fallibilità. Nell’incavo oscuro delle crepe, in quei frammenti di infinito che erano le anime spezzate, l’essere umano risplendeva».
A risplendere su tutto il libro è la luce di Chiara, la bambina nata nella notte di Natale e allevata nel buio, la piccola signora dei sogni, frammento luminoso di un grande magnifico mistero, ispirata da un profondo lutto personale della scrittrice (per questo i diritti d’autore sono devoluti a favore della ricerca sul sarcoma di Ewing). Quando si spegne la luce del giorno e della ragione, quando finisce la memoria, cosa resta, si chiede Teresa Battaglia? Resta ciò che si fa per gli altri, ci dice Chiara. Resta il mistero profondo dell’essere umano, oltre lo stato di coscienza. Qualcuno lo chiama amore