Chi sei tu? L’Uomo Che Puliva lo domanda a ogni donna bionda e disperata di cui fruga e studia l’immondizia, perché «a differenza delle persone, la loro spazzatura non mente».Chi sei tu? Un bambino che ha solo 5 anni, ma «ha già imparato quanto può essere doloroso fidarsi troppo della propria fantasia» lo domanda a sua madre, mentre, nell’indimenticabile scena con cui si apre il libro, lei lo butta in una piscina e, anche se lui non sa nuotare, forse proprio perché non sa nuotare, si gira e se ne va.
Chi sei tu? Domanda ancora quel bambino mentre cresce, e lo domanda sempre a sua madre che invece no, se crescere significa riuscire a essere più forti della paura che abbiamo di vivere, a crescere non ce la fa.
Chi sei tu? La Cacciatrice di Mosche lo domanda a uno per uno degli uomini che umiliano le donne che lei vuole aiutare: ma lo domanda anche a quelle donne, anzi, principalmente a loro. Chi siete voi? Voi che rischiate di diventare complici degli abusi di cui siete vittime. Chi siete?
Mentre voi? Voi che dovreste proteggermi e invece ve ne state lì, ognuno davanti al suo specchio?, domanda La Ragazzina Col Ciuffo Viola ai suoi genitori.
A farle da controcanto sono altri due genitori, molto diversi dai suoi, due genitori sinceramente presenti che comunque si ritrovano a domandarlo al loro unico figlio, perché è nato per miracolo, come se Dio lo avesse voluto preservare per qualcosa d’importante, e invece… Invece chi è diventato?
Chi sei tu? Io sono l’abisso, risponde finalmente, in una pagina decisiva, uno di questi personaggi.
E a me sembra che lo faccia anche per tutti gli altri: perché, al di là dei meccanismi della trama con cui stavolta Carrisi riesce a superare perfino sé stesso e al di là degli stupefacenti intrecci fra i personaggi e i loro destini che si muovono sulle rive (e nella palude) del lago di Como, è «una forza irresistibile e sconosciuta» il segreto di questo maestoso thriller.
È una voce: quella che si nasconde in fondo alla voce delle persone. Perfino in fondo alla voce di quelle che amiamo. Soprattutto in fondo alla nostra. Una voce che ci obbliga allora in primo luogo a domandarlo a noi stessi: chi sei tu?, con tanta più insistenza proprio quando ci verrebbe immediato rispondere.
Ma come, chi sono? Sono il figlio di. Sono il fidanzato di. La madre. Amo quell’uomo, quella donna. Amo quel bambino. Come se fosse mai bastato a qualcuno, l’amore.
Inevitabilmente il pensiero va a Bruno Bettelheim quando, nell’intramontabile L’amore non basta, sostiene che «prescrivere di dare amore presuppone che chiunque possa dare ciò che non possiede».
Che senso ha, insomma, parlare d’amore se un genitore non riesce a capire e a rispondere ai bisogni profondi del suo bambino, che senso ha parlare d’amore se quel genitore per primo non ha raggiunto una stabilità emotiva sufficiente e non sa stare al mondo? Non ha senso. E, comunque, l’amore non basta.
Perché a quel punto qualcosa, inevitabilmente, dentro a quel bambino si spezza: proprio questo è successo molti anni prima all’unico personaggio che per tutti afferma di essere l’abisso, e che le ferite non se le porta solo dentro, ma anche addosso, nelle cicatrici che sembrano due cerniere lampo, ai lati della testa, e nell’alopecia che lo condanna ad attraversare la vita «inosservato come uno scarafaggio in una festa danzante». Sempre secondo Bettelheim, l’unico fattore risolutivo per ricucire quello che si è rotto è aiutare il bambino perché prima o poi riesca a stabilire un vero rapporto affettivo con un altro essere umano. Solo così, infatti, gli sarà data la possibilità di ricostruire la sua personalità distrutta dalle esperienze che è stato obbligato a vivere fino a quel momento: e questo libro ci regala anche la pagina più toccante dell’intera opera di Carrisi, quando, attraverso la parete di un camerino di un negozio di vestiti, due personaggi scoprono di non essere da soli quantomeno nel sentirsi tanto soli. «Ti senti un rifiuto finché qualcuno non ti dice: sono reale e sono qui per te». Allora, anche se sei un mostro, negli occhi dell’altro puoi rischiare di diventare un essere di luce, come dimostra questa storia. Dove però, mentre trovano conferma le teorie alla base di qualsiasi psicologia dello sviluppo dell’individuo, quelle stesse teorie vengono messe alla berlina.
Come ha affermato Dustin Hoffman, infatti, dopo avere recitato ne L’uomo del labirinto, il più recente film scritto e diretto da Carrisi, «Donato vuole esplorare sia il bene sia il male perché non esiste una persona totalmente malvagia o totalmente buona». E per esplorare fino in fondo il male sa che dove finisce una teoria psicologica comincia l’essere umano nella sua assoluta, tremenda imprevedibilità.
*recensione di Chiara Gamberale, Il Corriere della Sera