Tra il «mémoire» e il saggio sentimentale, ripercorre la sua vita attraverso la militanza femminista e il personalissimo ricordo delle perdite, Panchita e Paula, le adorate mamma e figlia. E delle donne che l’hanno ispirata, dalla poeta-attivista Sylvia Plath e dall’agente letteraria Carmen Balcells, che ebbe a battesimo il suo primo romanzo La casa degli Spiriti, ad autrici come Virginia Woolf o Margaret Atwood o anche più giovani come la somala Warson Shire. E grandi cilene come Michelle Bachelet e Violeta Parra. «L’ho scritto durante la pandemia, che vivo bene, grazie alla mia disciplina di lavoro, confinata in casa», racconta in conferenza stampa online fra i due continenti. «L’unica differenza – aggiunge – è che ora sono con Roger, mio marito: conviviamo come in una lunga luna di miele».
In pullover rosso fuoco e rossetto in tono, la «niña rebelde» rievoca il suo rapporto epistolare con Panchita, la madre scomparsa a gennaio. «Ci siamo scritte tutti i giorni per decenni. Lei conservava le mie lettere, saranno oltre 25mila. Registravo ogni sera quanto mi era accaduto nella giornata. Questa corrispondenza ora mi manca da morire, perché i giorni scorrono via senza lasciare traccia». A 3 anni dalla nascita in Perù di Isabel, il padre, diplomatico cileno, lasciò la famiglia e la madre e decise di tornare in Cile con i tre figli per vivere nella casa del nonno, a Santiago. «La mia rabbia contro il machismo – annota l’autrice nel libro – cominciò in questi anni dell’infanzia nel vedere mia madre e le assistenti domestiche come vittime, subordinate, senza mezzi e senza voce, la prima per aver sfidato le convenzioni, le altre perché povere». Panchita metteva in guardia la figlia ostinata dal combattere gli uomini: «Mi diceva – rammenta -: attenta, ti andrà male, se ti ribelli sarai aggredita. E’ accaduto con molte di noi che avevamo qualcosa da dire. Però ora so che per ogni sberla ricevuta ne ho restituite due e non mi pento: lo sforzo è valso la pena».
Pioniera di battaglie e modello per molti scrittori, la Allende ha avuto nella madre la prima figura ispiratrice «per leggere e raccontare storie…». E poi «conquistadoras» come Ines Suarez, la protagonista del romanzo Ines dell’anima mia, divenuto ora una serie tv. «Era una grande eroina e guerriera e forse oggi non tutte aspirano a esserlo. Ma lei riuscì a fare ciò che voleva, riuscì a scegliere». Il libro è anche l’omaggio «a tutte le donne anonime che hanno sofferto la violenza e che piene di dignità e coraggio si rialzano per avanzare».
«Quando mia nipote mi dice che il femminismo è passato di moda – riflette – le rispondo che è vero forse per lei, privilegiata, bianca, che ha potuto studiare e non le manca nulla. Ma in alcuni Paesi le donne tuttora valgono meno del bestiame. Resta ancora molto da fare». Che significato ha avuto il movimento #MeToo? È nuova ondata di energia giovane che con altri movimenti simili ha dato nuovo vigore al pensiero femminista. Ma innanzitutto va ricordata la professoressa afroamericana Anita Hill, che per prima negli Anni 90 si impose per accusare di molestie l’aspirante alla Corte Suprema Clarence Thomas».
Per Isabel Allende «il femminismo si può definire come una posizione filosofica rispetto alla vita, una rivolta contro il patriarcato, per rimpiazzarlo con una gestione del mondo in cui uomini e donne abbiano uguale partecipazione». E aggiunge: «Il femminismo è la rivoluzione più importante perché comporta un cambio che va oltre il genere, è una lotta contro i privilegi ed è irreversibile». Un esempio di dove si può arrivare uniti è il sì dei cileni a una nuova Costituzione, dopo un anno di mobilitazioni: «La riscriverà il popolo e tutto lo spettro nazionale sarà rappresentato, anche gli indigeni costretti al silenzio per 500 anni», assicura la nipote di Salvador Allende. Che non smette di lottare anche attraverso la fondazione a lei intitolata, aiutando le donne migranti alla frontiera fra Messico e Usa.
*LA STAMPA, 06 novembre 2020