Il libro di Riccardo Pavanato ha un titolo accattivante, Lean Book, che be ne riassume contenuti e finalità. È un libro lean nel senso che illustra i principi e le tecniche essenziali del lean thinking. È un libro lean nel senso che è scritto in modo semplice, diretto e pratico.
Chi lo leggerà, sia esso un neofita in cerca di una prima infarinatura sul lean thinking o un esperto in cerca di una nuova sistematizzazione di conoscenze già possedute, vi troverà una varietà di spunti, esempi, idee e casi. Ne rimarrà soddisfatto come ne sono rimasto io, a valle della sua lettura, anche se forse per motivi diversi.
Infatti, dovessi tradurre il suo titolo in italiano, lo titolerei un «Piccolo Libro», dando quindi al termine lean nel suo titolo originale un’accezione diversa rispetto a quelle ormai consolidate. Da un lato è un «Piccolo Libro» nel senso di un efficace «Bignami» (absit iniuria verbis! I Bignami sono stati la salvezza per generazioni di studenti!) per risolvere problemi produttivi, di mercato, di finanza o di bilancio delle imprese. Dall’altro è un «Piccolo Libro» nel senso che presenta i semplici principi e le tecniche del lean thinking come insieme di piccoli accorgimenti, di nudges direbbe il premio Nobel per l’economia Richard Thaler, per osservare, comprendere e intervenire meglio sulla realtà che ci circonda.
Certo, i nudges comportamentali che il lean thinking offre (dai 5 perché agli A3, dai kanban agli andon) sono accorgimenti che possono generare significativi miglioramenti di prestazione. È questo il loroaspetto più evidente (ma anche superficiale). Essi consentono l’ottimizzazione dei processi, la riduzione dei costi o il miglioramento della qualità. Ma il loro aspetto più profondo, e anche più nascosto, è quello di agire come fattori di disturbo dei nostri pensieri e delle nostre azioni. Una sorta di fastidiose routine comportamentali che consentono, per dirla con Kahneman, di sfuggire alle tentazioni del «pensiero veloce» e di adottare un «pensiero lento», più razionale.
Questo «Piccolo Libro» indica una strada maestra nell’affrontare i problemi aziendali: quella del metodo scientifico (il PDCA). Al crescere dell’incertezza e nell’epoca digitale, il metodo scientifico rimane forse l’unica «bussola» credibile per orientare le decisioni manageriali,a meno che non si preferisca abbandonarsi all’indeterminismo, a euristiche non razionali o all’affidamento cieco ai big data e al machine learning. Il metodo scientifico è una routine comportamentale universale, un metodo generale di pensare e indagare i i problemi che consta di tre elementi. Il primo è lo spirito ipotetico, cioè l’idea che è necessario avere rispetto per la probabilità di errore associata alle decisioni e porsi in un’ottica do scoperta e di apprendimento. Il secondo è lo spirito sperimentale, cioè la necessità di sottoporre le proprie idee alla prova empirica, e verificare, attraverso test il più possibile rigorosi, se ciò che si è pensato e deciso produrrà davvero i risultati desiderati. Il terzo è lo spirito critico, cioè l’idea che è necessario valutare in modo critico le decisioni, aprendosi alla discussione collettiva, al confronto.
Se la lettura di questo «Piccolo Libro» renderà qualche manager o imprenditore più ipotetico, sperimentale e critico, esso avrà ottenuto un grande risultato.
*Università Bocconi, Milano