Cemento a(r)mato. Ispira desolazione e rabbia, il perverso legame tra italiani e territorio che emerge dall’annuale rapporto dell’Ispra, l’Istituto del ministero per l’Ambiente. Non tanto e non solo per i dati relativi allo scorso anno, in cui ci siamo mangiati due metri quadrati al secondo, quanto per la reiterazione dolosa di un autentico reato: non ci limitiamo a distruggere suolo, infliggiamo pure danni devastanti a quello che rimane, da nord a sud, perché la pioggia fa sempre più fatica a penetrare nel terreno, e quindi l’acqua tracima. Come hanno dimostrato pochi giorni fa gli allagamenti di Palermo, e poche ore fa quelli di Milano. Ingordi di presente, ci priviamo di futuro: nel 2019 il cemento è cresciuto più della popolazione. Più cantieri che figli. C’è del metodo in questa follia. Manca una legge nazionale sul contenimento del consumo di suolo: se ne è cominciato a parlare nel 2011, e come nefando costume italiano il Parlamento è stato alluvionato di proposte, tutte rimaste regolarmente ferme. L’importante non è fare, ma partecipare: alle Olimpiadi delle chiacchiere. È ancora più delittuoso constatare che i soldi ci sarebbero, ma non si riesce a spenderli: di 9 miliardi di opere stanziati cinque anni fa contro il dissesto, 7 e mezzo sono bloccati dalla burocrazia o dal fatto che i Comuni non riescono a fare i progetti, come ha ammesso il ministro dell’Ambiente Sergio Costa. Facendo dell’Italia la pecora nera dell’Europa quanto a consumo di suolo: la percentuale di territorio coperta artificialmente raggiunge il 7,6 per cento, a fronte di una media europea del 4,1. Quasi il doppio. In questa squallida graduatoria, con l’eccezione virtuosa del Trentino-Alto Adige, fermo al 3 per cento, il Nordest si distingue per il peggio: il Veneto è al secondo posto con il 12; il Friuli-Venezia Giulia è sesto, con l’8. La cementificazione divora terreno soprattutto lungo la fascia pedemontana, da Verona a Udine, con il traino di capannoni e centri commerciali. Quanto danno sia economico che ambientale provochi tutto questo, è documentato da cataste di ricerche e montagne di dati. Ma le risposte, dove ci sono, rimangono inadeguate: il Veneto ha varato una legge sul consumo di suolo nel 2017, in cui si indica come orizzonte della data di consumo zero il 2050… Intanto lo skyline del territorio è segnato non dalle morbide linee dell’antico paesaggio veneto, ma dalle foreste di gru: come si può vedere, giusto per citare un esempio, percorrendo la sponda orientale del Garda. In un’esemplare trasposizione dialettale dell’Amleto di Shakespeare, Luigi Meneghello attribuisce al principe di Elsinore un amaro sfogo: “In sti ultimi tenpi, tusi, ma no so parché, go perso tuto el morbìn, go stralassà le me usanse, me sento cussì malmesso che a mi sta bela fabrica de la tera la me pare na scuàlida protuberansa… Sto ecelentissimo baldachìn de l’aria, tusi, sta maraveia de barchessa de’l firmamento cuà parsora, sto gran coerto ricamà de lucete de oro: ciò, a mi no la me pare gninte altro che na turbia e pestilenta congregassiòn de vapuri”. Detto così, alla veneta, suggerisce un sospetto: che ci sia del marcio non solo in Danimarca.