Gli indizi sono interessanti (e in parte sorprendenti) e prima di tentare di dar loro un senso compiuto e costruire una qualsiasi interpretazione vale la pena forse soppesarli. Il contesto è l’economia di Milano e della Lombardia azzoppata dalla crisi pandemica e de facto stoppata nella sua cavalcata europea della seconda metà degli anni Dieci. Ed è proprio la «fenomenologia immobiliare lombarda» ad offrire spunti di riflessione per economisti, urbanisti e uomini del business. Il primo indizio riguarda l’investimento portato a termine dagli australiani di Aleatica acquisendo il controllo di quell’autostrada Brebemi che viaggia nel cuore della Lombardia e che ab initio ha rappresentato una scommessa sui flussi crescenti di persone e merci del nuovo Triangolo Industriale.
Il secondo indizio ci porta a Milano e al progetto immobiliare Santa Giulia a ridosso della stazione AV di Rogoredo. Qui opera da tempo un’altra società australiana stavolta di sviluppo immobiliare, la Lendlease, che da tre anni in abbinata con l’italiana Risanamento, e una volta avute «le certezze urbanistiche e ambientali», punta a sviluppare l’area con un mix tra residenze, uffici e la creazione di un’arena. Su Santa Giulia ha deciso di investire — notizia di pochi giorni fa — il fondo pensioni canadese Psp che ha puntato 125 milioni sul lotto Sud del progetto e ha firmato un accordo per partecipare fifty fifty allo sviluppo del lotto Nord (stimato a regime attorno a 2,5 miliardi). Lendlease è la stessa società che si è aggiudicata la gara per dare corpo al progetto Mind sulle aree ex-Expo di Rho-Pero ed è quindi direttamente impegnata a capire se la straordinaria traiettoria di sviluppo della Milano di Beppe Sala sia destinata a interrompersi o meno. Parlandone con l’amministratore delegato Andrea Ruckstuhl due cose emergono chiaramente: 1) il progetto Mind va avanti senza ritardi, anche per quanto riguarda i trasferimenti a Rho dell’ospedale Galeazzi e delle facoltà scientifiche della Statale; 2) Lendlease conta entro la fine del 2020 di chiudere i contratti per le imprese grandi, Pmi e start up che stanno valutando di insediarsi nell’area ex Expo. Spiega lo stesso Ruckstuhl: «Gli investimenti di questa portata seguono un andamento asincrono rispetto ad emergenze pesanti come pure quella del Covid. I capitali di fondi pensioni e assicurativi devono onorare gli impegni con i propri sottoscrittori e quindi si muovono a caccia di rendimenti di medio periodo, mentre sul versante più operativo le aziende innovatrici considerano l’area di Milano ancora un posto dove si trovano talenti, a costi competitivi e con la possibilità di usufruire di una infrastruttura di supporto come Mind».
Senza bolla
Con le riflessioni di Ruckstuhl entriamo nel cuore del dilemma di questo strano luglio 2020: Milano continua davvero ad avere un forte appeal internazionale? E come è possibile che si crei un quasi totale disallineamento tra attrazione di capitali e andamento (quantomeno stanco) dell’economia reale? A queste domande Pierfrancesco Maran, assessore milanese all’Urbanistica, risponde ribadendo innanzitutto le differenze di timing. I grandi investimenti internazionali hanno una gittata lunga che va ben al di là dei tempi della pandemia/vaccino e in qualche caso hanno come riferimento la scadenza olimpica Milano-Cortina del 2026. In un calendario così presbite persino il Covid-19 appare come «un fenomeno passeggero». Più in dettaglio Maran conferma che un solo investimento di peso è stato disdetto ed è quello che riguardava il mall più grande d’Europa che sarebbe dovuto sorgere a Segrate ad opera del gruppo francoolandese Westfield. Ma tutti sappiamo che sulla sostenibilità di quel mega-centro commerciale ai tempi del boom di Amazon c’erano ragionevoli dubbi già prima che il virus cominciasse a circolare a Wuhan.
Più in generale ad onta dei prezzi a metro quadro degli immobili milanesi, che in qualche caso sembravano decisamente esagerati, Maran citando l’Ubs Global Real estate Bubble index sostiene che la Milano pre-Covid non era affetta da una bolla immobiliare e di conseguenza oggi il mercato è in grado di giudicare con benevolenza un’area nella quale gli investimenti possono avere ritorni interessanti. E infatti i progetti in corso sono andati avanti o lo stanno facendo come la terza torre di Citylife costruita per conto di Pwc o il progetto Covivio-Symbiosis nell’area Lodi-Porta Romana. «Aggiungo — dice Maran — che abbiamo riscontri analoghi anche da un altro punto di osservazione, più mediano. Basandosi sulle pratiche edilizie più significative avviate il bilancio 2020 dovrebbe chiudersi, per quanto riguarda gli oneri che entrano in cassa al Comune di Milano, attorno a quota 100 milioni ovvero ai valori del 2018. Un buon risultato visto che il 2019 con 140 milioni era stato comunque un anno irripetibile». L’unico caveat che lo stesso assessore sottolinea è che stiamo comunque parlando di procedure avanzate ma non ancora di cantieri aperti. A rafforzare la corrente ottimistica del mattone imprenditoriale lombardo è poi arrivato ancora nei giorni scorsi un peso massimo del real estate, Manfredi Catella. Che mentre i virologi si dividono sulle probabilità di una seconda ondata ha presentato un’iniziativa nazionale di rigenerazione urbana che si basa sulla creazione di un nuovo veicolo finanziario che opererà sotto il sigillo Esg ad obiettivi misurabili di impatto e che 400 milioni da tre Casse di previdenza professionale. Un progetto che spera di replicare, nelle nuove condizioni di contesto, la best practise milanese di Porta nuova. Ma oltre a progettare il futuro, Catella ha lasciato anche il segno sul presente chiudendo tre settimane fa l’operazione Gioia 22 (valore stimato un miliardo) con UbiBanca. Anche i risultati di una maxi-ricerca internazionale sul futuro di 25 global cities, incluse Milano e Roma e coordinata per l’Italia dalla Fondazione Mattei, autorizzano speranze. La conclusione a cui sono arrivati i ricercatori è che in futuro le città resteranno comunque fortemente attrattive pur a fronte di grandi discontinuità che interesseranno la mobilità, il lavoro, la produzione, i servizi. Nessuna fuga, dunque, di persone e funzioni ma una trasformazione in chiave glocal: città più locali e più aperte allo stesso tempo. Come se il Covid avesse sdoganato gli ossimori e tutto ciò grazie all’integrazione tra urbano e digitale.
Oltre il real estate
Sommando gli indizi di cui sopra e i giudizi che abbiamo riferito, e pur scontando che si tratta di operazioni che andranno a dipanarsi su tempistiche lunghe e diverse tra loro, la sensazione di assistere almeno sul breve a una sorta di decoupling tra mattone ed economia reale resta forte. Obietta però Mario Mercatili, economista e responsabile Sviluppo di Nomisma: «L’esame degli andamenti dell’economia reale non autorizza grandi entusiasmi. E tutto il comparto del terziario da uffici è investito sia dalla crisi sia dalle trasformazioni in atto». Il fenomeno del largo ricorso allo smartworking, ad esempio, può generare effetti di contrazione degli spazi e di esubero dell’offerta. «E si tratta di una variabile ancora incontrollabile». Prima del Covid i canoni degli affitti per le attività terziario erano diventati pressochè insostenibili «e solo un totale recipricing di questi valori potrebbe attrarre gli investitori senonchè noi italiani siamo tradizionalmente lenti e refrattari davanti ad operazioni di questo tipo». La tesi di Mercatili è quindi che non si possa parlare di un totale disallineamento tra immobiliare ed economia reale quanto che gli investimenti avranno un’accentuata selettività e quindi sono destinati a polarizzare il mercato. «È chiaro, ad esempio, che possono trovare interesse operazioni che vertano sulle destinazioni sanitarie. Così come più in generale Milano gode di un suo vantaggio competitivo. Pre-Covid il 90% delle operazioni immobiliari italiane si giocavano qui ed anche dopo la pandemia questo primato resterà». In soldoni per un investitore internazionale Milano rimane comunque un centro di attenzione, molto meno le città di seconda fascia o la provincia italiana. «Quanto invece a un possibile effetto-Olimpiadi resto scettico» chiude Mercatili. Resta fuori dal campo di osservazione, per ora, il fenomeno Airbnb, una tendenza che aveva spalmato la rendita urbana sul ceto medio e che dovrà giocoforza reinventare, fino al ritorno del turismo di massa, i propri format.