Era il 1995 quando arrivava nelle librerie, per la prima volta, “Colpo di lama” edito da Neri Pozza. Mauro Covacich aveva già scritto un libro due anni prima, “Storia di pazzi e di normali. La follia in una città di provincia”, nato dalla sua esperienza al Dipartimento di Salute Mentale di Pordenone in cui aveva svolto il servizio civile.
Un resoconto sul lavoro nel consultorio che raccontava con crudezza e passione la condizione di tante persone, invisibili per la maggioranza della società, ma protagoniste di un mondo forse sgradevole ma pulsante di umanità. Con “Colpo di lama” lo scrittore triestino firmava il suo primo romanzo. Una storia dalla trama robusta, costruita con perizia e astuzia, un noir avvincente e complesso che anticipava alcuni dei temi che sarebbero diventati importanti nella successiva, ricca produzione di Covacich.
Adesso il romanzo ritorna in libreria pubblicato da La nave di Teseo (pagg. 160, euro 17) nella collana Oceani, con pochi cambiamenti apportati nel frattempo dall’autore. Venticinque anni dopo, questo libro dimostra ancora la sua forza narrativa e diventa un tassello interessante per analizzare il quadro completo delle opere dello scrittore e per seguirne, in prospettiva, l’evoluzione.
Il protagonista della storia è l’architetto Fabbretto, uno che non ha mai progettato né costruito nulla ma si è creato una carriera nella politica locale come amministratore e assessore del Comune di Pordenone. Proprio nella veste di assessore alle politiche sociali, viene avvicinato da due volontari dell’associazione Vitaviva per sviluppare un progetto all’avanguardia per il riciclo dei rifiuti, affidato all’ex detenuto Achille Orante, detto Lama per la sua pericolosità: “Ricordavo quel gesto per dire Lama, l’indice che risaliva lungo il collo fino al mento, metà rasoio e metà “non m’importa”, “me ne infischio”.
Innamoratosi della volontaria Alessandra, il protagonista accetta la proposta ma una trama pericolosa gli si sta avviluppando intorno. È chiaro che lei lo prende in giro, probabilmente non corrisponde il suo amore, lo chiama Fabbretto: “Continuava a chiamarmi così perché, a sentir lei, le ricordavo uno scrittore croato il cui nome, tradotto in italiano, significa piccolo fabbro”. Presto si trova a fare i conti con l’inaffidabilità di Achille e con le bugie di Alessandra e sarà proprio la gelosia che lo spingerà a un gesto violento di cui molti anni dopo dovrà pagare le conseguenze.
La storia è raccontata in prima persona da Fabbretto che si rivolge, fin dalle prime righe, al Questore: la sua è una confessione, un lungo resoconto dei fatti che hanno stravolto la sua vita e portato a una drammatica conclusione. La trovata narrativa della confessione non è legata a un amore per la verità né a un pentimento: il protagonista lo chiarisce subito spiegando le sue ragioni al suo interlocutore che legge. Sembra trattarsi piuttosto di un atto politico, in qualche modo legato all’incarico di assessore di Fabbretto, al ruolo pubblico e quindi strettamente connesso all’idea di potere.
Vuotare il sacco a distanza di anni dalla vicenda è qualcosa di straniante proprio come tutto il comportamento dell’io narrante: il suo malessere e la sua frustrazione sono subdoli e contorti ma Covacich è abile a portare comunque il lettore dalla parte dell’ambiguo protagonista. Un uomo soffocato da una politica locale fatta di piccolezze, di favori e conoscenze che non portano comunque a grandi imprese, immerso tra l’ipocrisia della cultura cattolica e i pettegolezzi di provincia.
Il ritratto del grasso Nord-Est degli anni Novanta e del marcio che cova sotto un apparente ordine sociale è un tema che Covacich ha sviluppato anche in altri romanzi successivi riuscendo a fare delle proprie esperienze e del territorio in cui ha vissuto la base per la costruzione dei suoi impianti narrativi. Oggi il Nord-Est ha perso quello smalto e la forza di allora, appare molto più fragile e meno agguerrito anche sul campo economico, eppure “Colpo di lama” è indubbiamente ancora una storia di grande attualità.
L’atmosfera da giallo tinge i fallimenti personali e le bassezze della piccola comunità e svela un altro tema forte di questo romanzo: la menzogna. Fabbretto è irretito nello scacco di Alessandra e lei può facilmente manipolarlo e ottenere ciò che si è prefissata. Lui non ha la forza né la lucidità per agire in maniera autonoma, e se lo fa si tratta delle azioni autolesioniste di un perdente. È un uomo vulnerabile e insoddisfatto che a causa di una donna dannerà per sempre la sua vita.
Ancora un tratto che ritroviamo anche nelle altre opere di Covacich è l’ispirazione alla realtà, a fatti accaduti e a personaggi esistiti e, se in questo suo primo romanzo la vicenda è di fantasia, non si fatica a intravvedere episodi verosimili dietro alla concitata trama da noir. Ne emerge un ritratto spietato della provincia italiana in cui ci sono tutti gli elementi per appassionare una vasta platea di lettori: mistero, amore, politica, ingredienti passati sotto una irresistibile e originale luce torbida. La Nave di Teseo ha pubblicato, o ripubblicato, altri sei libri di Covacich: “A perdifiato”, “Fiona”, “Prima di sparire”, “A nome tuo”, “La città interiore” e “Di chi è questo cuore”