Quando analizzeremo la proposta dovremo fare attenzione che che gli inaccettabili eurobond non rientrino dalla finestra». Christian Freiherr von Stetten è uno di quei parlamentari della Cdu che quasi dieci anni fa votò contro il suo governo e contro il pacchetto greco, al culmine della crisi dei debiti. Ma al di là del legittimo dubbio sul fatto che i titoli che saranno emessi dalla Commissione Ue per alimentare il Recovery fund siano gli eurobond tanto odiati in Germania, von Stetten, come tanti falchi del suo partito, ci fa sapere di non essere contrario, tout court, alla grande novità annunciata da Angela Merkel ed Emmanuel Macron. E così la stragrande maggioranza della Cdu/Csu.
La cancelliera tedesca è riuscita, al di là di qualche sparuto mugugno, a ricompattare anche il suo partito attorno al rilancio dell’Ue. Proporre 500 miliardi e non 1000 è stato un modo per tenere a bada non solo i partner del nord Europa, ma anche il suo Paese. Esattamente come il fatto che i soldi del Recovery Fund «non andranno alle casse dello Stato e a finanziare discutibili spese pubbliche ma direttamente alle aree più colpite, alle aziende e ai progetti», ci spiega un altro esponente Cdu, Marian Wendt.
Merkel gode in Germania di una popolarità tale da aver riportato i conservatori al 40% nei sondaggi. E qualcuno sogna persino di aprire una crisi di governo ora per mantenerla in sella per altri quattro anni. Lei si rifiuta categoricamente di prendere in considerazione un’ipotesi del genere. «Ma vedrete», scommette una fonte vicina alla cancelliera, «che da qui a dicembre si allungherà la fila di chi le chiederà di fare un quinto mandato».
L’unico malumore che serpeggia attorno a Merkel riguarda il fatto che i bond che saranno emessi dalla Commissione Ue per il Recovery fund potranno essere comprati dalla Bce. In teoria, un dettaglio positivo, che stende un’ulteriore ombrello sull’eurozona. Ma siccome la Bce ha dei limiti – il cosiddetto capital key – per il suo programma “classic”’ di acquisto dei titoli, il Pspp, la possibilità di poter comprare i bond europei ne allarga il volume complessivo – in teoria di 500 miliardi – e allarga quei paletti.
Anche Emmanuel Macron porta a casa un buon risultato politico e di immagine, in un momento in cui l’emergenza sanitaria, al contrario di Merkel, lo ha indebolito in patria. Può rivendicare di aver rotto il tabù della mutualizzazione dei debiti. Un pallino che aveva sin da quando era ministro dell’Economia.
L’accelerazione è arrivata nelle ultime due settimane. All’Eliseo spiegano che i contatti tra Macron e la cancelliera si sono intensificati dopo la sentenza della Corte di Karlsruhe, il 5 maggio. L’annuncio di lunedì è stato organizzato nel massimo riserbo. La scorsa settimana, Merkel ne aveva parlato soltanto con i suoi fedelissimi: ufficialmente, gli sherpa continuavano a fare muro contro un Recovery fund che desse soldi “gratis”. Dietro le quinte è stato anche fondamentale il lavoro del ministro Bruno Le Maire, germanofono e abituato a trattative fiume con il suo omologo Olaf Scholz. Tra gli argomenti usati da Le Maire c’è l’idea che l’eurozona non potrebbe resistere a un’asimmetria economica tra i vari paesi membri.
Merkel è preoccupata anche per i debiti pubblici di alcuni Paesi più colpiti, come l’Italia, che potrebbero raggiungere cifre astronomiche dopo la crisi e ricominciare a mettere a repentaglio la tenuta dell’euro.
«C’è un forte senso di solidarietà verso il popolo italiano», sottolinea una fonte governativa. Il capo dell’Eliseo si è mosso su diversi piani. Nella prima fase dell’emergenza, davanti al muro dei Paesi del Nord, ha deciso di sfidare Berlino firmando con Conte e Sanchez la lettera dei 9 Paesi che chiedevano gli eurobond. Una scelta rivendicata all’epoca dall’Eliseo con lo scopo di aprire il dibattito anche nell’opinione pubblica oltre Reno. Qualche giorno dopo, attraverso Le Maire, la Francia ha proposto la soluzione di compromesso, il Recovery Fund.
Che, a sua volta, la cancelleria ha trasformato da strumento finanziario autonomo con possibilità di andare sui mercati, a fondo collegato al bilancio della Commissione europea. Come diceva sovente il vecchio cancelliere socialdemocratico, Helmut Schmidt, «nichts ohne Frankreich», «niente senza la Francia».