Nei sette decenni della sua storia l’Unione Europea non aveva mai vissuto uno scontro come quello deflagrato ieri, perché stavolta tutto è in gioco: la capacità della Banca centrale europea di agire nella crisi come quelle delle altre superpotenze economiche, il potere delle istituzioni comuni di prevalere su quelle dello Stato più forte e, alla lunga, la tenuta del sistema alla prova di una pandemia e di una recessione drammatiche.
Dall’esito di questo conflitto si capirà se nell’area euro di oggi il potere ultimo è in mano alle istituzioni comuni o di quelle tedesche; se l’Italia è avviata verso i vincoli di un programma di salvataggio e soprattutto se sul futuro dell’euro si stenderà un’ombra più o meno lunga.
L’ordigno politico-legale è stato innescato ieri dalla Corte costituzionale tedesca con la sua sentenza sul «Public Sector Purchase Programme» (Pspp), il programma di acquisti di titoli pubblici avviato dalla Bce con Mario Draghi nel 2015. Oggi l’Eurosistema — la federazione delle banche centrali europee — ha in bilancio bond sovrani per circa 2.200 miliardi e ha appena aperto un nuovo piano di interventi sul quale formalmente ieri la Corte tedesca non si doveva pronunciare: il «Pandemic Emergency Purchase Programme» (Pepp) da 750 miliardi, la bombola a ossigeno che per ora mette l’Italia in grado di finanziare a debito sul mercato le enormi spese dell’emergenza. Raggiunta da una miriade di ricorsi contro la Bce di Draghi, per la prima volta la Corte di Karlsruhe si era piegata a chiedere un’opinione alla Corte di giustizia europea. I giudici costituzionali tedeschi erano i soli in Europa a non averlo mai fatto, riluttanti a riconoscere la supremazia dei colleghi comunitari (dal 1957 il diritto civile europeo fa premio su quello dei singoli Paesi). La sentenza di Lussemburgo era arrivata nel 2018 e aveva dato ragione alla Bce: gli acquisti di titoli sono legali. Ieri però per la prima volta nella storia europea i giudici tedeschi hanno ribaltato il tavolo, con parole sprezzanti verso la sentenza dei colleghi europei («intenibile»). Il ministro delle Finanze bavarese Albert Füracker, esponente del nuovo nazionalismo democratico tedesco, l’ha definito «un risonante schiaffo in faccia alla Corte europea».
Così Karlsruhe dà tre mesi all’Eurosistema per dimostrare che i suoi interventi sono «proporzionati». Per i giudici tedeschi ciò ha un significato preciso, in grado di minare gli attuali interventi della Bce proprio perché questi non stanno rispettando i criteri richiesti: gli acquisti sui titoli dovrebbero essere eseguiti in proporzione al peso economico dei singoli Paesi e l’Eurosistema non dovrebbe poter comprare più di un terzo di ogni bond emesso, dunque non più di un terzo del debito totale di ogni Stato. Oggi invece la Bce sta comprando più carta francese, spagnola e soprattutto italiana e il vincolo a un terzo — se confermato — fa sì che tra circa 18 mesi non potrebbe più sostenere il debito di Roma. Di questo passo ne avrebbe in bilancio già più di 700 miliardi, un terzo del totale. Verrebbe così meno la credibilità di Christine Lagarde, quando la presidente della Bce promette che «non ci sono limiti» al suo impegno a difesa dell’euro. Quel tetto del 33% può schiacciare l’Italia.
Ora la Corte tedesca è pronta a ingiungere alla Bundesbank di uscire dalle operazioni della Bce, se non fosse soddisfatta delle spiegazioni di Francoforte. E un Eurosistema senza polmone tedesco, anche se sostituito da altre banche centrali, sarebbe visto sui mercati come sul punto di sfaldarsi. Ma ieri Lagarde e i suoi hanno rifiutato di riconoscere l’autorità di Karlsruhe su di loro: hanno fatto sapere che non arretrano e per loro vale solo la decisione favorevole della Corte di giustizia europea. Sarà la Bundesbank a rispondere a Karlsruhe, mentre Lagarde ha già investito Angela Merkel del problema. Tocca alla cancelliera decidere se minare le fondamenta dell’area euro, tacendo e lasciando che i nazionalisti del suo Paese prendano il sopravvento.
In questa battaglia (forse) finale per l’euro all’Italia spetta un posto speciale. Ieri Clemens Fuest, uno dei leader intellettuali del fronte conservatore tedesco, ha detto che Karlsruhe «mette sotto pressione i governi perché forniscano assistenza ai singoli Stati membri». La sua idea è che ieri, con una Bce più debole, si sia destabilizzato il mercato e mosso un passo verso un salvataggio ad hoc per la sola Italia. Definito e vigilato altrove in Europa.