Speranzosi apriamo la porta, chi solo la finestra, verso la Fase 2. Guardiamo fiduciosi alle fabbriche, dicendoci che ci aiuterà il buonsenso dei corpi nel mantenere la giusta distanza. Contiamo sulla tecnica incorporata nella rete e nella logistica e sulla scienza. Entrambe sfidate al lavoro agile possibile, al trasporto delle merci per tenere sui mercati internazionali, al trasferire agricoltura e agroalimentare nei supermercati e nei negozi di prossimità e al far circolare i corpi messi al lavoro con il trasporto pubblico. Sfidiamo così Covid-19 per l’economia in affanno, seguendo le indicazioni degli esperti su questi grandi temi.
Prendo dalla commissione Colao una piccola parola chiave: «microgeografia». Microcosmi appunto, che mi rimandano alla Caritas ambrosiana per capire, abbassando lo sguardo, la logistica degli ultimi e la filiera degli invisibili per raggiungere le “vite di scarto” in questa società selettiva dove il virus ha scavato altre faglie di differenze. La Coldiretti e la Caritas, che stanno su queste filiere, stimano un milione di nuovi poveri da Covid-19. Per rendere visibili gli invisibili occorre scomporre e ricomporre i tanti, troppi, non codificati nei codici Ateco che sono nelle microeconomie di sopravvivenza, nel sommerso dei lavori saltuari che chiamiamo lavoretti che toccano anche le nuove professioni che con pudore, essendo nuovo, denominiamo lavoro intermittente.
Luciano Gualzetti direttore Caritas ambrosiana, scavando nello iato tra abbondanza e scarsità, mi ha raccontato delle colombe pasquali. Un aneddoto utile anche al governo che non riesce a intercettare la filiera degli invisibili con i suoi provvedimenti di aiuto nell’emergenza che paradossalmente non raggiungono i più bisognosi di aiuto. Era Pasqua, surplus di colombe, tempi caritatevoli e da qui abbondanza di donazioni di beni alimentari agli hub di raccolta, gli Amazon della miseria, e alla Caritas come fossero i supermercati degli invisibili. Ma i vulnerabili non possono uscire di casa per recarsi alle mense, agli empori di solidarietà, ai centri di ascolto e nelle parrocchie…e gli homeless? Appare un ultimo miglio rovesciato in barriera rispetto alle consegne alla Amazon o ordinando alla grande distribuzione. Lo percorrono gli “angeli del mangiare” e delle medicine salva vita grazie a una logistica di conoscenza sociale da microgeografia capillare di strade, quartieri, palazzi e pianerottoli abitati da una composizione sociale di vite minuscole e frammentate. Senza questo fitto reticolo di legami fiduciari la filiera s’inceppa, perde efficacia, non raggiunge l’obbiettivo. Con linguaggio da impresa si direbbe non raggiunge l’utente-cliente. E le colombe rischiano l’effetto delle brioche della regina Maria Antonietta. Per questo dobbiamo dire grazie agli angeli della filiera invisibile, giovani volontari affiancati da over-65 a rischio Covid che detengono un sapere territoriale che fa girare la filiera degli ultimi.
È un sapere sociale prezioso. Ne tenga conto la politica alle prese con un welfare state in crisi piramidale nel far scendere aiuti e interventi verso la base senza un welfare di comunità. Ne tengano conto le forze sociali delle microimprese e dei lavori apolidi se vogliono fare rappresentanza e sindacato di comunità. Continuando a cercare per capire cosa stia succedendo alle persone chiuse in casa (chi ha una casa, a proposito dei dormitori e delle docce Caritas) nell’elaborazione della paura del Covid, che è al contempo, paura del presente e del futuro. Chiediamoci nell’incertezza in cui siamo immersi, se il virus genererà apertura o rinserramento, se produrrà solidarietà o rabbia rancorosa, se produrrà comunità o solitudine, nuova energia o isolamento. Siamo in una forbice tra rancore che può farsi rabbia alla ricerca del capro espiatorio in cima alla piramide o nella prossimità orizzontale delle differenze o come sostiene De Rita, contiamo ancora sull’antropologia adattiva della società italiana e ce la faremo.
Per questo oltre al vaccino occorre produrre anticorpi sociali che si mettono in mezzo producendo inclusione. Da qui il mio costante richiamo alle rappresentanze e il raccontare la microfisica dei saperi sociali necessari alla politica per accompagnare e fare società. Sono della generazione degli “angeli del ciclostile” della fantasia al potere che vede venire avanti angeli della cura negli ospedali, gli angeli del mangiare che rendono visibili gli invisibili e gli angeli del digitale delle parole che volano. In loro vedo tracce di speranza.