Il blocco “settoriale” differenziato delle attività produttive senza indennizzo disposto dal governo Conte? È – semplicemente – anticostituzionale. E le associazioni di categoria possono citare davanti ai giudici civili il governo, impugnando i decreti sui diversi settori commerciali e produttivi, limitanti in tutto o in parte la normale attività. È la tesi di Massimo Malvestio, avvocato e finanziere trevigiano, da poco trasferitosi a Montecarlo. E la spiega molto chiaramente, partendo proprio dalla carta Costituzionale.
«Il governo ha sancito che alcune attività debbano restare chiuse senza la minima valutazione sull’effettiva loro pericolosità, in concreto», argomenta Malvestio, «Al barbiere, come ad altre categorie, non si è chiesto di organizzare il lavoro secondo un doveroso principio di precauzione a tutela della salute di tutti. No, a loro e ad altri si dice “sei barbiere e quindi rimani chiuso”, mentre altre attività possono svolgersi, non perché più sicure, ma perché producono beni con funzioni o destinazioni diverse. È una disparità di trattamento, irragionevole, che crea attività di serie A e altre di serie B»,
Ma l’esigenza della salute pubblica è ragione suprema… «Può esserlo, ma allora entriamo in un ambito di esproprio. In quel caso un bene privato viene sacrificato per un superiore interesse pubblico, ma allora lo Stato indennizza il privato. Qui siamo in un caso affine, lo Stato “espropria, i diritti di proprietà di una azienda, comprime una libertà di iniziativa e di impresa, un diritto di lavoro e di attività commerciale: certo, a tempo limitato, non per sempre. Ma senza alcun indennizzo. Forse un’urgenza straordinaria, emergenziale poteva venire invocata inizialmente, per giustificare l’approssimazione, non dopo due mesi: nessuna giustificazione».
Quanto alla Costituzione, la tesi di Malvestio è che questi decreti “discriminanti” e che «differenziano le attività» entrino in collisione giuridica direttamente con i principi costituzionali degli articoli 4, che tutela il diritto al lavoro, il 41 che sancisce la libertà di impresa, e il 42, senza contare il 36 quello che sancisce il diritto del lavoratore ad “una vita libera e dignitosa”». E Malvestio si sofferma sull’art. 42: «La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale», insiste, «Mi pare riferimento chiarissimo, che non lascia dubbi, «Se mi limiti l’attività per un periodo, in nome di una ragione superiore, devo venir indennizzato. Faccio un esempio: se un estetista spende 5 mila euro al mese tra leasing di attrezzature, affitti bollette e altro e ordinariamente guadagnava 2/3 mila euro al mese, non può ricevere 800 euro, deve averne 8 mila». Impresa titanica, per lo Stato sommerso dal debito pubblico.
Alternative possibili? «Una sola: lo Stato metta tutti sullo stesso piano raccomandando con specifici protocolli le norme ad hoc per ogni categoria, facendo rispettare le norme generali e garantendo la tutela dei lavoratori e dei cittadini, senza alcuna discriminazione. Non che ci siano un’attività chiusa, una aperta, un’altra a mezzo servizio. Librerie sì e negozi di abbigliamento no? Barbiere no e ferramenta sì? Qui a Montecarlo i barbieri riaprono il 4». La bocciatura giuridica del governo, da parte di Malvestio, è secca: «Spero che le associazioni di categoria agiscano, credo che lo Stato si troverà a pagare, e saranno tutti debiti fuori bilancio, senza copertura non prevista nei decreti», conclude, «La conseguenza di decreti assolutamente discriminanti e infondati. Qui si rischiano non solo fallimenti, ci sono esercenti sull’orlo del suicidio, come se uno Stato ritenesse di avere il diritto di portare alla disperazione intere categorie, violando la Costituzione fondante della Repubblica. La salute pubblica, anche in emergenza, non può essere un’esimente per fare male le leggi. Così come non si può pensare di risolvere i problemi con un’elemosina da 800 euro. Peraltro anche questa non distingue tra chi ne ha disperato bisogno e chi non ha affatto bisogno». –