Si va delineando uno schieramento corposo ed eterogeneo, pronto ad accettare i finanziamenti del Fondo salva-Stati, il cosiddetto Mes. Divide governo e opposizione. E fa riemergere un «fronte del no» che unisce fuori tempo massimo i populisti: dal M5S alla Lega e a FdI, convinti che quel meccanismo intrappolerebbe l’Italia. Ma, su posizioni opposte, vede convergere il Pd ma anche Forza Italia, oltre a Iv. L’ex presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, ha svolto il ruolo di apripista per Silvio Berlusconi, che ieri ha rotto la compattezza della destra.
Smarcandosi dalle polemiche contro Palazzo Chigi, il fondatore di FI ha affermato, intervistato a Di Martedì: «Dire no al Mes sarebbe un errore clamoroso». Il tentativo è di smontare la narrativa che ha raffigurato il Fondo come un mostro incontrollabile: nelle opposizioni e perfino in una parte della coalizione. Eppure, al di là di una polemica che mescola ideologia e propaganda, il denaro fresco portato da quel meccanismo è considerato come un serbatoio di liquidità da afferrare al volo. Il rischio di puntare solo sull’emissione di eurobond, senza riuscire magari a ottenerli, appare sempre di più un limite nella trattativa con l’Europa.
Sono considerati lo strumento più adeguato per rilanciare l’economia e arginare le tensioni sociali dopo l’emergenza da coronavirus. Ma le nazioni nordeuropee per il momento non ne vogliono sentir parlare. E l’Italia è debole. Il Fmi prevede per il 2020 un calo del Pil italiano del 9,1 per cento. Su uno sfondo così incerto, un «no» al Mes suonerebbe incomprensibile. Europeisti come l’ex presidente della Commissione, Romano Prodi, e l’ex commissaria Emma Bonino, pongono il problema lucidamente.
E non solo, pare di capire, ai populisti ma allo stesso premier, Giuseppe Conte, e ad alcuni settori della sinistra. «Io ero contrario al Mes perché erano fondi condizionati. Ma ora hanno assicurato che non sarà così», osserva Prodi. «E se il Mes viene accettato da Portogallo e Spagna, quando andiamo a trattare sugli eurobond ci dicono: “Come, rifiutate questo e poi volete quest’altro?”». È la fotografia di una strettoia politica dalla quale il governo faticherà a uscire bene.
Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, prepara il partito al «sì». «Se esisterà la possibilità di avere miliardi a sostegno della sanità, dovremo prenderli», ha annunciato, d’accordo con Iv e, da ieri, con lo stesso Berlusconi. Ma i grillini insistono. Il ministro Luigi Di Maio lancia un altolà larvato al premier. «Uso le parole di Conte: il Mes è uno strumento antiquato». È il riflesso di un M5S spaventato dal proprio elettorato e dalla concorrenza della destra: tutti prigionieri di un antieuropeismo figlio di un altro tempo.