Questi saranno i giorni della speculazione. Sono lontani i tempi nei quali Flaubert diceva che la Borsa era il termometro dell’opinione pubblica. Dovremo abituarci invece a mercati che sbanderanno sotto la pressione di investitori che guarderanno al loro unico tornaconto, magari sfruttando l’ingenuità dei tanti disorientati da un qualcosa al quale non avevano mai assistito. Ma proprio per questo è ancora più necessario tentare di allungare lo sguardo. Di mantenere la calma. Di non fermarsi a quelle percentuali che ci descriveranno in queste ore e in questi giorni il mondo delle aziende, del risparmio, delle famiglie, come un mondo che sta crollando, in disfacimento.
Non è così. Il mondo non sta crollando. A differenza delle altre crisi, questa volta abbiamo un nemico preciso, il coronavirus, un qualcosa che sappiamo che può essere sconfitto. Non significa che non soffriremo, che non ci saranno conseguenze. Ma a differenza delle altre crisi, non ci sono stati segnali (come nel 2008 quando fallì Lehman Brothers), che se fossero stati colti per tempo ci avrebbero risparmiato brutali crolli e recessioni. O come nel 2010, quando alla crisi dei debiti sovrani la politica rispose esitante e senza direzione allungando così i tempi della ripresa.
No, questa volta siamo di fronte a un qualcosa di completamente inatteso e imprevedibile. In questi giorni potranno apparirci vincenti coloro che fuggono dai luoghi come dai mercati; i molti che approfitteranno senza scrupoli di chi sarà preda dello spavento o al contrario di chi preferisce fare finta che nulla di grave stia accadendo. Come qualche leader politico alla Donald Trump o come qualche italiano che ha pensato alla chiusura delle scuole come un modo per allungare la settimana bianca.
Per i risparmiatori è il momento di pensare a quando potremo iniziare a riprendere una vita normale. E per farlo cittadini e imprenditori, famiglie e comunità, dovranno capire che rispettare le regole, a cominciare dal ridurre le proprie attività o addirittura avviarsi a una pausa è il modo migliore per combattere un nemico insidioso. Ancora troppi pensano di poter schivare quella sorta di quarantena che al momento pare l’unica difesa possibile.
Alla politica, al governo, ai regolatori, spetta il compito più difficile: doversi assumere le responsabilità che sono proprie del loro ruolo. Laddove la cautela deve essere il principio ispiratore delle persone, dei cittadini, è l’esatto contrario per chi ha il dovere di decidere. «In tempi normali la moderazione e la prudenza nel fissare gli obiettivi politici sono positive. Nelle circostanze attuali, però, è molto meglio rischiare di fare troppo che troppo poco», scriveva sul «New York Times» il premio Nobel per l’economia Paul Krugman nel novembre del 2008 mentre si approfondiva la crisi dovuta alla Lehman (dal suo libro «Discutere con gli zombie», Garzanti).
Non ci si illuda facendo paragoni con le cadute in Borsa dovute alla Brexit o ad altre crisi dicendosi: ma sì, in fondo abbiamo già visto di queste frenate. Bloccare l’economia di intere regioni che sono quelle che trainano il Pil italiano avrà ripercussioni inimmaginabili. Non si creda che la caduta di Wall Street sia dovuta a quello che accade in Cina e in Europa: quello che temono i mercati è il contagio Usa.
Governi e politica, come scriveva lo scorso 4 marzo Francesco Giavazzi sul «Corriere», devono essere pronti, al «Whatever it takes» di Mario Draghi che salvò l’euro: a qualsiasi costo si deve proteggere l’economia. Lo sappia chi vuole speculare.
Ma alle famiglie si deve dare certezza che il loro restare in casa per evitare di diffondere il virus e non per la paura del contagio, sarà riconosciuto. Agli imprenditori con piccole e piccolissime aziende come a quelli più grandi va garantita quella liquidità negata dai mancati introiti, da ricavi momentaneamente fermi.
Quello che in tempi normali, l’attenzione al debito e al deficit, è una virtù, scriveva ancora Krugman, può trasformarsi in un vizio.