È nata come crisi sanitaria. È diventata subito un’emergenza economica. Ora è deflagrata anche quella finanziaria. Le notizie che arrivano dalla Lombardia e da mezzo mondo sull’epidemia di coronavirus, ma soprattutto l’improvvisa guerra del petrolio scoppiata tra Arabia Saudita e Russia, ieri hanno prodotto un mix esplosivo su tutti i mercati finanziari. Non solo le Borse sono cadute in picchiata (Milano -11,17%, Parigi -7,85%, Francoforte -7,42%, Londra -7,69% con New York sulla stessa lunghezza d’onda), non solo il petrolio è tracollato, non solo la corsa ai beni rifugio ha abbassato con violenza i rendimenti dei titoli di Stato più sicuri (il tasso dei decennali Usa ha toccato il minimo storico di 0,32%), ma anche su mercati di confine e illiquidi è arrivata un’ondata di vendite. Lo dimostrano i rendimenti delle obbligazioni aziendali ad alto rischio (high yiled), saliti ai massimi dal 2016 in un colpo solo.
La domanda chiave, per leggere e interpretare questo scenario, è una sola: quanto può durare il panico sui mercati prima che la finanza stessa – attualmente ultimo tassello di un domino iniziato dal coronavirus – diventi propulsore e moltiplicatore della crisi economica e sociale? Perché non sono tanto i crolli di Borsa a dover spaventare (del resto fino a poche settimane fa i listini viaggiavano sui massimi storici), quanto tutti i meccanismi dei mercati finanziari che possono diventare amplificatori della crisi economica. Insomma: se al panico sui mercati di questi giorni si dovesse sommare anche una prolungata crisi di liquidità per le imprese dovuta allo stallo del mercato obbligazionario globale e alle difficoltà del canale bancario, allora i rischi per l’economia diventerebbero molto più seri. Ancora questo livello non è stato toccato, secondo molti addetti ai lavori. Ma lo stress sale. E i rischi anche.
Le cause del crollo
La botta accusata ieri sui mercati finanziari ha due motivazioni. La prima, ovvia, è legata al dilagare del coronavirus: questo pone infatti sempre più dubbi sull’andamento dell’economia globale. Ormai nessuno azzarda previsioni definitive, ma gli economisti stanno tutti tagliando le stime sulla crescita globale: per l’Eurozona ormai le ultime previsioni per il 2020 vanno dallo 0,4% di Ing allo 0,6% di Bank of America, per gli Usa si va da 1,2% a 1,6%. Il timore generale è che l’economia globale non si muoverà più a “V” come si pensava fino a pochi giorni fa (forte calo e forte ripresa una volta terminata l’emergenza virus), ma a “L” (forte calo e nessuna ripresa dopo).
Ma ieri a questo si è aggiunto un motivo che ha aggravato il crollo dei mercati: la guerra petrolifera tra Arabia Saudita e Russia (si veda pag 5). Una guerra che non solo fa cadere il prezzo del petrolio, ma che rischia di mettere in crisi soprattutto le aziende del settore più indebitate. A partire da quelle statunitensi dello shale oil.
Le conseguenze del crollo
Ed è qui che la crisi finanziaria può diventare il moltiplicatore di quella economica. Dopo anni di tassi a zero e di liquidità abbondante, le imprese del mondo intero sono iper-indebitate: attualmente l’indebitamento delle sole aziende non finanziarie globali ammonta a 74mila miliardi di dollari, pari al 94% del Pil. Affinché questo debito resti sostenibile, servono tre condizioni: tassi d’interesse bassi, profitti aziendali buoni e fiducia degli investitori. Il problema è che l’emergenza coronavirus sta minando tutti e tre i presupposti. Nonostante i tagli dei tassi da parte della Federal Reserve, per le aziende sui mercati i tassi stanno salendo. Soprattutto per quelle più indebitate: ieri l’indice dei bond a bassa affidabilità ha registrato un aumento dei tassi al livello massimo dal 2016. Contemporaneamente i profitti aziendali, in un’economia che cade, vengono meno. Infine la fiducia degli investitori in questa fase è a zero.
Morale: in Europa è da martedì che nessuna impresa emette obbligazioni. Negli Usa il fenomeno è simile. Secondo l’indice di Bloombeg, lo stress finanziario sui mercati obbligazionari, monetari e bancari negli Stati Uniti è tornato ai massimi dal 2009, dopo il crack di Lehman. La domanda è: quanto può durare questa situazione prima che produca davvero danni seri? Soprattutto alcuni settori (quello dello shale oil Usa, quello aereo o del turismo) soffrono di più. Il rischio è che l’emergenza sanitaria-economico-finanziaria diventi una crisi di liquidità e dunque si traduca in un aumento dei default. Per ora – secondo molti addetti ai lavori – il mercato non è ancora caduto in questo precipizio. Ma si avvicina. Anche perché i finanziatori principali delle aziende, cioè i fondi e gli Etf obbligazionari, iniziano a subire forti deflussi di capitale. È però presto per tirare le somme.