La prima vittima in Italia per il coronavirus è un anziano di 77 anni di Monselice, morto ieri in tarda serata all’ospedale di Schiavonia, in provincia di Padova, nello stesso giorno in cui cinquantamila persone temono davvero che il Lodigiano, il cuore dell’epidemia, si riveli la Wuhan d’Italia. Il virus, dalla Cina centrale, ha ormai raggiunto una delle aree più globalizzate del Nord ed è, oltre che in Veneto, alle porte di Milano. Dieci i paesi chiusi attorno all’epicentro del contagio, tra Codogno, Castiglione e Casalpusterlengo. Stop a tempo indeterminato per asili, scuole, uffici, negozi e locali pubblici anche in altri sette paesi. Fermi anche i treni. A rischio- isolamento perfino Lodi. Invitato a restare in casa, per almeno una settimana, un terzo degli abitanti di una provincia che conta 230 mila residenti, snodo cruciale tra Lombardia ed Emilia Romagna. Il primo bilancio del contagio, oltre che fulmineo, è impressionante: 15 infettati, ricoverati tra l’ospedale di Codogno e il centro specialistico «Sacco» di Milano, alcuni in condizioni gravi. Altri due in Veneto, vittime di un altro focolaio. Oltre 250 i pazienti posti in quarantena: 70 medici e infermieri, 79 tra famigliari e amici entrati in contatto con i contagiati nei tre centri-focolaio.
«Venerdì mio figlio è venuto a trovarmi — dice a Castiglione la mamma dell’uomo che ora lotta con la morte nel reparto di terapie intensive di Codogno — stava male e il medico ha accettato di visitarlo qui. È un omone, forte e sportivo. Pensavamo a una brutta influenza. Questa mattina me l’hanno lasciato vedere in ospedale: intubato, incosciente, molto grave. Quasi non l’ho riconosciuto». Francesca e il marito Moreno, chiusi in casa a due passi dall’ambulatorio di quel medico di base, pure colpito dalla polmonite, aspettano di fare il tampone ordinato dall’unità di crisi costituita in Regione. A diffondere il contagio, dopo essere stato infettato da un amico, sarebbe loro figlio Mattia, 38 anni, residente a Codogno, chimico nello stabilimento Unilever di Casalpusterlengo. Ai primi di febbraio ha frequentato più volte bar e ristoranti della zona assieme a un amico, dipendente della «Mae» di Fiorenzuola d’Adda, nel Piacentino. Tra i ricoverati, anche la cognata. «Era tornato dalla Cina il 21 gennaio — dice la proprietaria della farmacia Gandolfi di Castiglione — ed è venuto ad acquistare le solite medicine contro il raffreddore».
L’intuizione si è accesa giovedì sera a Valentina, 36 anni, moglie di Mattia, insegnante, in congedo da settembre e al settimo mese di gravidanza. Si è ricordata delle uscite del marito e dell’amico che lavora in Cina, rientrato il per capodanno lunare. Il primo caso di coronavirus trasmesso tra italiani, è stato scoperto così. Lo ha detto subito agli infettivologi della cittadina, che da domenica non si spiegavano l’improvvisa febbre a 40 di Mattia, passato al pronto soccorso e in medicina interna, prima di aver preferito proseguire le cure a casa. Dietro le finestre ora sbarrate il mistero sulla positività al virus si è dissolto.
«Il morbo a questo punto — dice il direttore dell’ospedale, Massimo Lombardo — può al massimo essere contenuto: nessuno può eliminarlo ». Oltre 120 i colleghi di Mattia sottoposti al tampone all’Unilever, dove sono stati chiusi mensa e reparti da lui frequentati. Due le caserme, di esercito e aeronautica, attrezzate per la quarantena di quasi 200 persone tra Milano e Piacenza. Tra i contagiati, con Mattia «non trasportabile» ci sono sua moglie Valentina e l’amico rientrato dalla Cina, considerato il «paziente zero» in Italia. Negativo al test, avrebbe trasmesso il virus da asintomatico, o durante quella «influenza » poi superata. La valutazione sulla presenza degli anticorpi è in corso all’Istituto superiore di sanità. Con loro anche il medico di Castiglione e il compagno di corsa di Mattia, figlio della proprietaria del bar dove sembra esplosa l’epidemia. A Milano tre clienti abituali del locale, tutti settantenni, oltre a cinque medici e quattro pazienti dell’ospedale di Codogno, secondo incubatore ora chiuso alle visite dall’esterno. Chi avverte i sintomi di un’influenza viene invitato a restare in casa e a chiamare il 112. Deserte anche le strade dei paesi sigillati. Deviati da oggi pure i treni. Chi esce lo fa con le mascherine, esaurite, o coprendosi il volto con la sciarpa.
«Siamo piccole comunità — dice sotto shock il sindaco di Castiglione, Costantino Pesatori — frequentiamo gli stessi posti: se si ammala uno rischiamo di ammalarci tutti». Mattia, in due settimane, ha incontrato centinaia di persone. Non solo in laboratorio all’Unilever. Anche correndo con gli amici del Circolo podistico «Codogno 82»: uscite quotidiane, più una mezza maratona il 2 febbraio a Santa Margherita Ligure e una corsa non competitiva il 9, a Sant’Angelo Lodigiano. Sabato scorso era andato a giocare a calcio: campionato amatori, lui centrocampista del bar «Picchio» di Soragna, contro il «Sabbioni» di Crema. «Aveva qualche linea di febbre — dice l’allenatore — sembrava niente». Invece era già tutto. «A mezza mattina — dice Cecilia Cugini, preside delle medie a Codogno — i genitori sono venuti a riprendersi i bambini. Piangevano perché qui la vita non sarà più quella di prima». Nulla di visibile, nella notte che sconvolge la pianura delle cascine e delle industrie. Proprio questo, come l’esplosione di una centrale atomica, paralizza anche i pensieri.