Se c’è un punto sul quale questo governo diviso in mille modi è sempre rimasto compatto, esso riguarda la protezione dell’ambiente. Il Green New Deal è stato dall’inizio la parola d’ordine con la quale il premier Giuseppe Conte ha cercato di dare un’anima alla sua maggioranza. La svolta verde è la chiave con cui Roberto Gualtieri ha cercato di dare una coerenza al suo primo bilancio da ministro dell’Economia. Poi però c’è la realtà. Questa prevede che nei prossimi giorni il governo — capifila lo stesso Gualtieri e il ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli — nominino un commissario e un vicecommissario del Gse.
Non l’ultimo degli enti: il Gestore dei servizi energetici, controllato al 100% dal Tesoro, è il polmone finanziario che distribuisce incentivi per circa 15 miliardi di euro all’anno alla produzione di rinnovabili e al risparmio energetico in Italia. Non c’è Green New Deal che tenga in Italia senza un Gse che funzioni. E il Gse molto spesso non ha funzionato come doveva, come conferma il fatto che il «decreto milleproroghe» ha rimosso i suoi litigiosissimi vertici disponendo il commissariamento.
Intoppi ed errori nell’erogazione degli incentivi, grande potere da gestire con cura, non sono mai mancati. In primavera scorsa l’ente ha versato nel complesso ventidue milioni di euro di troppo a oltre diecimila richiedenti che avevano prodotto energia da biomasse. Anni prima pagamenti errati e gonfiati si sono avuti nel fotovoltaico. Spesso poi imprese e cittadini, dopo forti investimenti, hanno subito ritardi nei saldi che hanno messo più d’uno in ginocchio. L’accesso a servizi e informazioni è stato spesso complicato. Nel frattempo dal 2015 i compensi medi dei primi 14 manager del Gse sono saliti del 4,25% all’anno. Giusto remunerare bene la competenza e l’efficienza, ma devono essere tali. Ora tocca a Gualtieri e Patuanelli: questa è una nomina che non possono sbagliare