«Io vado dritto per la mia strada, stiamo governando e stiamo facendo le cose che chiede anche Italia viva, a cominciare dallo sblocco degli investimenti, ma di sicuro nessuno nella maggioranza ha intenzione di accettare ricatti o il continuo stillicidio di polemiche inutili che Renzi porta avanti, si vedrà di fronte ai provvedimenti se c’è la volontà di una rottura o se è un fuoco di paglia, in ogni caso io continuo a lavorare come se nulla fosse e non è certo questo il momento per le riforme istituzionali, questo è il momento di una cura del cavallo per rilanciare l’economia, cosa a cui stiamo lavorando ogni giorno». A fine giornata, dopo che nel pomeriggio ha firmato anche un accordo con la Banca europea degli investimenti, la Bei che ha sede in Lussemburgo, per affiancare le strutture governative con know how ed expertise di lungo corso per sbloccare la spesa pubblica, Giuseppe Conte ha un moto di fastidio quando gli portano le agenzie di stampa, le dichiarazioni in cui Renzi chiede una verifica, ipotizza governi istituzionali, mette in discussione la guida dell’esecutivo.
È lo stesso fastidio che condividono gli alleati, a cominciare da quel Pd che ormai ritiene «insopportabile» l’atteggiamento dell’ex premier, o dei 5 Stelle, che fanno sapere di non essere disponibili a nessun cambio nella guida del governo, non si presterebbero. Qualcuno scomoda anche una classica favola di Esopo, ma per dire che non andrà a finire in quel modo. E infatti la sintesi è: non permettere allo scorpione di uccidere la rana. Ecco la strategia che i leader del governo giallorosso hanno concordato con il presidente del Consiglio. Renzi vuole la guerra? E guerra sia. Mentre Renzi sparava «la bomba» nel salotto tv di Bruno Vespa, tra Palazzo Chigi, il Nazareno e le stanze dei 5 Stelle di rito governativo maturava la decisione di fare muro: «Sarà linea dura, durissima».
Il fuoco di sbarramento dei ministri parte subito, con la registrazione di Porta a Porta ancora in corso. Gualtieri con forza smentisce di essere in corsa per sostituire Conte: «Non esiste». Fraccaro, di solito cauto e silente, stoppa in anticipo la sfiducia a Bonafede: «Alfonso non si tocca». E Franceschini con un tweet prova a strappare la maschera al leader di Italia viva: «Mentre stavano per morire la rana chiese all’insano ospite il perché del suo folle gesto. “Perché sono uno scorpione”, rispose. “È la mia natura!”» Andrà avanti così, colpo su colpo. Perché il premier ritiene «pretestuose e inaccettabili» le condizioni poste da Renzi e si è stancato di avere in casa un alleato che si comporta da oppositore. E se anche i dirigenti dem pensano che l’ex capo del governo abbia «caricato il cannone per sparare una nocciolina», il giurista pugliese medita di prevenire lo strappo. Andando in Parlamento e spiegando agli italiani che la maggioranza è coesa e ha un cronoprogramma per l’Agenda 2023.
«Non mi faccio dettare l’agenda da un partito che ha il 3% e non ho alcuna intenzione di mediare ancora, se Renzi vuole mettersi in minoranza si accomodi, si vedrà in Aula se c’è bisogno di un buon governo o di ennesima crisi», è il pensiero fisso di Conte, al quale ha dato molto fastidio il riferimento al governo Maccanico. «Con quell’uscita sul sindaco d’Italia e il nuovo patto del Nazareno — spiega un ministro — Renzi ha lanciato un’esca al centrodestra». Lo stop alle riforme è persino brusco. Il bonario Zingaretti dice «basta chiacchiericcio e sotterfugi», fa filtrare che a forza di sovraesporsi l’ex segretario del Pd «in tre anni è sceso dal 40% al 3%». E affida ai suoi il mandato di ironizzare sul «Paurellum», il sistema elettorale con cui Renzi, lo accusano, vuole «stravolgere l’accordo sul sistema elettorale perché sa che non supererebbe lo sbarramento al 5%».