L’economia ristagna, gli utili societari crescono poco (e a volte non aumentano per niente), ma i dividendi per le principali società italiane quotate e soprattutto per i loro soci non mancano mai, o quasi. In tutto il 2019 il monte cedole versato dai big di Piazza Affari ha continuato infatti a salire, secondo i calcoli di Janus Henderson, dell’8% su base annua in termini sottostanti (cioè depurati dall’effetto valutario e da voci straordinarie) fino all’equivalente di quasi 16 miliardi di dollari. E l’avanzata è proseguita anche lo scorso anno, pur a un ritmo inferiore, come già si intravede dai bilanci che le società stanno chiudendo in questi giorni e si può capire sulla base delle indicazioni che i manager proporranno in approvazione nelle assemblee di primavera e pagheranno nel corso del 2020.
Se nel mondo i dividendi viaggiano a passo di record e sono destinati ad aumentare ancora quest’anno in media del 4% sottostante, il nostro Paese potrebbe non essere da meno, anche se qualche avvertenza va data: «Sospetto che la crescita in Italia possa essere mediamente di poco inferiore a quella dell’indice globale poiché nella Borsa italiana sono fortemente rappresentate società del settore petrolio, Eni in primo luogo, banche e utility», segnala Ben Lofthouse, Co-gestore del Global Equity Income di Janus Henderson. Mancano cioè comparti che fanno da traino alla crescita in questi ultimi tempi: tecnologici in primo luogo, ma anche sanitario e farmaceutico.
«Enel sta effettivamente aumentando il proprio dividendo in modo abbastanza rapido, ma molte altre società partono già da un livello di remunerazione piuttosto elevato, quindi non è corretto pensare che possano crescere altrettanto velocemente, a meno che non siano anche gli utili a farlo», ammette quindi l’analista, che lascia però aperto uno spiraglio: «Un settore che potrebbe sorprendere – indica Lofthouse – è quello bancario, poiché i risultati delle ultime settimane sembrano indicare un cambiamento in vista da parte della Bce riguardo alla necessità di dotare gli istituti di credito di più capitale». Intesa Sanpaolo e UniCredit, gli unici due rappresentanti del settore del credito inclusi nel Janus Henderson Global Dividend Index che comprende le prime 1.200 società per capitalizzazione di mercato a livello mondiale, hanno già dato in questo senso indicazioni confortanti per l’esercizio appena chiuso e anche per gli anni a venire.
Vista in termini più generali, la performance di rilievo registrata dalle italiane nel 2019 va tuttavia almeno in parte ridimensionata. In primo luogo perché nel già ricordato indice curato da Janus Henderson il peso dei «campioni» di casa nostra appare piuttosto residuale, anche se paragonato a Paesi che hanno la stessa popolazione. Sono appena 11 infatti le società di Piazza Affari comprese nell’analisi al confronto per esempio delle 46 francesi e delle 47 britanniche: un dato che comprensibilmente riflette le dimensioni relativamente ridotte del mercato azionario italiano.
Ma soprattutto perché nell’ultimo decennio «perduto» i dividendi italiani sono rimasti sostanzialmente invariati, quando si calcolano in termini di dollari. «Questo significa che l’Italia è molto indietro rispetto alla media europea, dove le cedole sono aumentate di un terzo, e lo è soprattutto rispetto alla media globale, dove le distribuzioni sono quasi raddoppiare», sintetizza Lofthouse.