Alcuni nodi del salvinismo che pareva irresistibile stanno venendo al pettine. Dopo il brusco risveglio suonato dall’Emilia-Romagna in elezioni regionali in cui Matteo Salvini aveva messo tutto sé stesso, oggi approda nell’Aula del Senato il caso Gregoretti. Che di alcune difficoltà offre plastica rappresentazione.
Un centrodestra assolutamente bendisposto a evitare al leader leghista il processo, si è scontrato — settimana dopo settimana, anche a urne chiuse — contro il «Processatemi» di Matteo Salvini. E pazienza se i più convinti nel consigliargli la sterzata fossero i leghisti, a partire dall’abile Giulia Bongiorno. Proprio lei, oggi parlerà in Aula a nome della Lega, prima del capogruppo Massimiliano Romeo che sarà costretto ad annunciare una posizione non nitidissima: la Lega resterà in Aula ma non parteciperà al voto per «non prestarsi a strumentalizzazioni». Tutti i dubbi che si sono manifestati dentro la stessa Lega avranno da Salvini risposta in Aula ma sono stati anticipati ieri ai senatori. Il leader leghista comincerà con il dire che lui si fida della magistratura: «Di certo non ho voluto sfidare nessuno». Ma che «di fronte ai miei figli non posso passare per uno che scappa dai processi, devono sapere che non sono un delinquente e ho fatto solo il mio dovere nell’interesse del paese». E che dunque — contro il parere dei suoi senatori che gli avevano «chiesto di votare contro l’autorizzazione a procedere» — lui ha chiesto loro di non farlo.
Resta il fatto che, consumato il voto sulla nave Gregoretti, la trafila ricomincerà con la Opern arms, che rischia di essere pure più complicata per alcune note con cui il premier Conte invitava il suo allora ministro dell’Interno a far sbarcare i minori. A circoscrivere la non collegialità dell’atto ministeriale e la sua derubricazione a atto non politico ma amministrativo.
Ma forse, al di là del merito della vicenda, ciò che meglio rende le difficoltà di questi giorni è l’informarsi di alcuni parlamentari leghisti riguardo alle mosse «dell’altro Matteo», Renzi. I voti di Iv da soli non basterebbero a tagliare la strada al processo, ma a quel punto ne basterebbero soltanto altri 4 o 5. Al di là degli scenari su un governo dei due Mattei, difficilmente l’affidarsi a Renzi potrebbe essere rivendicato come un successo.
Ma le ultime settimane hanno anche visto Matteo Salvini, spirito maggioritario poco propenso alla trattativa con gli alleati, soffrire il protagonismo di Giorgia Meloni, corteggiatissima dai media internazionali (Bloomberg, Financial Times, Le Monde, El Mundo) come alternativa affidabile al sovranismo salviniano. Che fin qui, in politica estera si è chiuso nel recinto dei paesi di Visegrad senza trarne gran vantaggi. Vittorio Sgarbi ha così fotografato il successo di Meloni: «Sta scalzando tutti perché la gente la riconosce, lei è sempre stata lì, come l’Harry’s Bar».
A dispetto dello scatto con la leader di Fratelli d’Italia diffuso lunedì da Salvini («Un sorriso per chi ci vuole male») la trattativa per le regioni che andranno al voto è al palo. Secondo FdI, il leader leghista intende rimettere in discussione gli accordi presi, soprattutto per la Puglia: il patto prevedeva che la regione di Emiliano sarebbe dovrebbe andare a Raffaele Fitto (che tra l’altro a Bruxelles è il co-presidente dei Conservatori europei), ma i leghisti si sono messi a fare muro: una regione del Sud, considerata contendibile, sarebbe il miglior regalo per la Lega nazionale. E anche perché, dopo la batosta in Emilia, ai leghisti la Toscana ha cominciato davvero a fare paura.