Quando, nel settembre 2008, i media di tutto il mondo trasmettevano le immagini degli impiegati di Lehman Brothers che lasciavano per sempre i loro posti di lavoro, l’opinione pubblica mondiale comprendeva che qualcosa stava cambiando per sempre.
I primi segnali della grande crisi negli Stati Uniti risalgono a inizio 2007, quando alcuni grandi operatori finanziari annunciano perdite nel loro portafoglio subprime. A giugno 2007, Bear Stearns ammette le difficoltà sugli investimenti in titoli garantiti da mutui subprime e, nel corso dell’estate, il contagio della crisi arriva in Europa colpendo primarie istituzioni finanziarie in Germania, Francia e Regno Unito. La crisi si acuisce a settembre 2007, con la corsa al ritiro dei depositi da parte dei clienti della Northern Rock (banca attiva nel mercato dei mutui e delle securitisations) e il successivo intervento del governo inglese a garantire tutti i depositi della banca.
Alla prima grande crisi, succede in Europa la crisi dei debiti sovrani, innescata in Grecia a ottobre 2009 dall’aggiornamento delle stime del deficit di bilancio del nuovo governo che porta il deficit per quell’anno dal 5,1%, previsto nel precedente mese di aprile, al 12,7% del Pil e che determina le revisioni al ribasso del rating sui titoli di Stato greci. La crisi scoppia in Italia nell’estate del 2011 con l’innalzamento dello spread, il differenziale del rendimento tra Btp e Bund tedeschi. Dal settembre 2008 è trascorso un lungo decennio che ha trasformato l’economia mondiale, in particolar modo quella italiana.
Tra il 2008 e il 2018, in Italia il Pil pro capite si riduce del 6,1%. Il quadro della finanza pubblica mostra una successione di consistenti avanzi primari di bilancio, l’esplosione del debito pubblico, aumentato di 29 punti nel decennio, e una parabola della pressione fiscale che arriva al massimo nel 2012.
Sono di vasta portata gli effetti sull’economia reale: nel 2018 la produzione manifatturiera è del 17,2% inferiore al massimo pre-crisi del 2007 e, nello stesso arco di tempo, l’output delle costruzioni si riduce addirittura del 41,6%. Va meglio nel settore dei servizi che sostanzialmente recupera (0,4%) il livello del valore aggiunto del 2007. Un vero e proprio sisma si avverte nella manifattura e nell’edilizia, due settori che nel 2008 addensano il 26% delle imprese e il 68% delle imprese artigiane: in dieci anni, l’artigianato perde oltre un decimo delle aziende, con un calo cumulato di 187 mila unità, pari al 12,5% in meno, uno stillicidio di 51 aziende in meno al giorno.
Tiene maggiormente il volume dell’export di beni e servizi che, nel periodo 2007-2017, sale dell’11,4%; tuttavia la crescente concentrazione della produzione manifatturiera nelle economie emergenti riposiziona l’Italia sui mercati internazionali con una riduzione della quota dell’export mondiale di 0,7 punti.
*da Nulla è come prima. Le piccole imprese nel decennio della grande trasformazione, Guerini e Associati, 2019