I toni, sulla prescrizione, si fanno sempre più duri. Eppure, dietro le quinte, in Parlamento, si lavora con pazienza certosina a un’ennesima mediazione, una sorta di «lodo Conte» riveduto e corretto. Ma Alfonso Bonafede nega che ci siano trattative in corso. Anzi, il Guardasigilli annuncia: «La prescrizione andrà avanti ed entro dieci giorni sul tavolo del Consiglio dei ministri arriverà la riforma del processo penale e lì ognuno si prenderà le proprie responsabilità». Bonafede fa mostra di voler tirare dritto, accusa Matteo Renzi di «fare minacce» e insinua che le dichiarazioni di Italia viva siano scritte «da Salvini e Berlusconi». Di contro, Italia viva al Senato sta pensando se non sia il caso di adottare un’iniziativa clamorosa: la mozione di sfiducia individuale al ministro della Giustizia. A palazzo Madama i numeri ci sarebbero, visto che le opposizioni certo non voterebbero per sostenere il Guardasigilli.
È un’eventualità, questa, che per ora rimane sullo sfondo. Ma c’è. In una riunione con i suoi Renzi, ragionando ad alta voce, non l’ha esclusa: «Mi domando se alla fine, pur di impedire questo scempio dello stato di diritto, non sia il caso di pensare a una mozione di sfiducia individuale… Certo, sarebbe un’extrema ratio… Sia chiaro, io non ho nessuna intenzione di mettere in crisi il governo, però Bonafede deve mollare. Non sarà oggi, non sarà domani, ma lui questa battaglia la perderà. Al Senato non ha la maggioranza. Io su questo sono tranquillo, anche se mi dipingono come uno che urla e minaccia. Sono convinto che pure il Partito democratico cercherà di convincere il ministro perché sennò, a furia di correre dietro ai grillini, rischia di perdere voti».
Dunque Italia viva va avanti nella sua battaglia. E il capogruppo al Senato Davide Faraone avverte il Guardasigilli: «Caro Bonafede, non è Salvini che scrive i nostri testi, sei tu che ha scritto l’abolizione della prescrizione con lui. A noi non piace e la cambieremo. I numeri sono chiari, o li capisci o ci vediamo in Senato». La giornata di ieri è stata tutto un rincorrersi di dichiarazioni di guerra. Il ministro per i rapporti con il Parlamento Federico D’Incà non le mandava certo a dire a Renzi: «Dovrebbe decidere cosa fare da grande, se vuole stare in maggioranza». Ettore Rosato gli replicava a muso duro: «Se Renzi smette di stare in maggioranza, D’Incà smette di fare il ministro. Il che non è necessariamente un dramma per l’Italia». E Bonafede, sempre più convinto che quella del leader di Iv sia una «provocazione» era netto: «C’è una maggioranza che lavora, però lavorare non significa urlare e strillare dalla mattina alla sera. Qualcuno si dovrebbe rendere conto che siamo in maggioranza, invece vedo toni da opposizione».
Questo quadro preoccupa non poco il Partito democratico. I timori sono trapelati nei discorsi che in questi giorni Nicola Zingaretti ha fatto con i suoi: «Conte deve capire che noi sosteniamo il governo e lo stiamo aiutando, ma lui non può più continuare a rinviare perché così non è che si risolvono i problemi. No, in questo modo i problemi ritornano, invariati. E si dà agio a Italia viva, che è in cerca di visibilità, di fare propaganda senza aiutare a trovare soluzioni». Insomma, il Partito democratico — e lo dice anche Andrea Orlando — continua a volere dal governo quel «cambio di passo», che tarda ad arrivare. Alla Camera, però, i pontieri ieri erano al lavoro. Rimaneggiavano il «lodo Conte». Ed escludevano la sospensione della prescrizione, come prevede l’emendamento al Milleproroghe di Lucia Annibali, perché su questo punto Bonafede non transige. Perciò si continua a lavorare, con piccoli aggiustamenti all’ipotesi di abolire la prescrizione in caso di una doppia condanna, in primo grado e in appello. Ma la fine non sembra vicinissima: ieri sera correva voce di un rinvio alla prossima settimana del vertice dedicato alla giustizia.