L’assemblea congiunta è stata aperta da Vito Crimi, il reggente. E per quanto rivendichi i «pieni poteri», per usare un’espressione cara a Matteo Salvini, i pensieri di tutti erano per Luigi Di Maio, assente. Perché la sensazione diffusa è che a comandare sia ancora lui. Dietro le quinte, dalla Farnesina, sarebbe Di Maio a muovere i fili del Movimento. Il sospetto è sulla bocca di tutti: sta un passo indietro, perché vuole tornare come salvatore della patria, ricandidandosi dopo gli Stati Generali. Crimi apre l’assemblea caricando i gruppi: «Non siamo finiti, dobbiamo riaccendere la scintilla». Il governo, nel frattempo, si blinda nominando capo delegazione Alfonso Bonafede, uomo vicino a Di Maio, ma che ha un rapporto strettissimo con il premier. Del resto è stato il suo «sponsor», visto che ne è stato l’assistente all’università di Firenze. Bonafede annuncia «determinazione» e «confronto». Scartato Stefano Patuanelli, anche a causa delle sue simpatie per il Pd. No anche a Vincenzo Spadafora, non amato da una parte del gruppo e da Vito Crimi. Il ministro dello Sport ieri è finito nel mirino anche per le nomine, tra le quali quella di Vito Cozzoli, designato come presidente e ad di Sport e Salute. «L’ha nominato Di Maio», spiegano in diversi, segnalando che Cozzoli, uomo molto preparato ma anche discusso, è stato capo di gabinetto del Mise.
La strategia di Di Maio, se è vero che è in sonno e si prepara a tornare, punta anche sull’assenza di avversari. Nessuno, con un po’ di credibilità, vuole esporsi più di tanto. Roberto Fico non ha nessuna intenzione di mettersi alla testa di una corrente. Qualcuno dubita che voglia farlo Paola Taverna. Si parla molto di Stefano Buffagni, che presenterebbe una candidatura del Nord e che ha una linea equilibrata e pragmatica. E poi c’è Alessandro Di Battista, silenziosissimo in questi giorni (è in Iran). Come Beppe Grillo.
Altro nome che potrebbe farsi avanti è quello di Nicola Morra. Ma proprio ieri è finito sotto accusa per avere detto al Corriere della Sera di non aver votato 5 Stelle e il suo candidato in Calabria Francesco Aiello: «Sono presidente dell’Antimafia e non potevo votare una lista anche con una semplice ambiguità». Paolo Parentela, coordinatore della campagna, si indigna e, di fatto, ne chiede l’espulsione: «È grave quello che ha fatto. Ha violato lo Statuto e il Codice etico». Morra non risponde, ma i più vicini replicano: «Parentela copre la sua disfatta attaccando Morra. Ma vogliamo davvero espellere il presidente della Commissione Antimafia? E Bugani? Di cosa stiamo parlando».
Già, perché Max Bugani in Emilia-Romagna ha addirittura votato il candidato dem Stefano Bonaccini. Espellere tutti non si può, e così si abbozza. Ma intanto si torna a litigare sulle Regionali. Si fanno sentire i fautori di un’alleanza con il Pd, dopo le disfatte di domenica. Si sono già scelti tre candidati in Liguria, Toscana e Puglia, ma solo nel caso non si trovi un’intesa con un civico (e con il Pd). Nelle Marche è già decisa la corsa in solitaria. Angelo Tofalo è per l’intesa: «Io sono stato il re degli ortodossi. Ma ora basta, dobbiamo allearci se vogliamo contare. E in Campania ce la possiamo fare. Domenica si decide». In Liguria ha causato malumori una riunione «segreta» tra Alice Salvatore, candidata, il responsabile delle campagne Danilo Toninelli e il responsabile della Comunicazione Emilio Carelli.