Se non sarà al Consiglio dei ministri di venerdì, sarà in quello successivo, ma ormai Giuseppe Conte è deciso: «Mi sembra inevitabile la revoca per Autostrade». Luigi Di Maio è convinto che il premier non retrocederà. Nel Pd invece ci sono molti più dubbi, anche su quando sia più opportuno uscire con la notizia, se prima o dopo il voto in Emilia-Romagna, per non dare a Matteo Renzi un argomento che lo aiuti a fare il guastatore alla vigilia del voto. Un aneddoto raccolto dalla Stampa è rivelatore delle incertezze dei dem. Sul volo Alitalia Milano-Roma di lunedì mattina c’è una passeggera che ha un tono di voce più alto degli altri. Qualcunola riconosce subito: è la ministra dei Trasporti Paola De Micheli. Sta parlando al telefono in modo agitato. Chi le è vicino sente in maniera chiara cosa sta dicendo e sente che cita Nicola Zingaretti, il segretario del suo partito, il Pd: «Non si decide, non si capisce che posizione abbiamo. Ma io devo saperlo!». De Micheli parla in quanto titolare di un ministero che è cruciale nella definizione del destino di Autostrade. Parla perché costretta a galleggiare in un guado tra partito e governo, nella nebbia politica di queste ore dove ogni decisione si mescola al calcolo elettorale e ai rapporti di forza con gli alleati.
Qualche ora dopo, dall’abbazia di Contigliano, nel Reatino, al seminario Pd quello sfogo si trasformerà in una dichiarazione più diplomatica: «Sui concessionari autostradali, sui quali c’è una discussione e un dibattito anche dentro di noi, vorrei avere quanto prima un approfondimento, soprattutto nei gruppi parlamentari».De Micheli sa bene che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è ormai decisamente orientato verso la revoca. I due si sono visti giovedì scorso, in un vertice ristretto prima dell’ultimo Cdm. In quell’occasione la ministra ha portato con sé e mostrato al premier il dossier della commissione del Mit che inchioda alle proprie responsabilità Autostrade per l’Italia, la società che fa capo al gruppo Atlantia, della famiglia Benetton. L’analisi è chiusa e non lascia scampo. Anche per questo negli ultimi giorni Conte non ha avuto timore a esporsi e a parlare pubblicamente di «gravi inadempienze» sulle quali «il governo non farà sconti», nonostante al Tesoro i tecnici abbiano espresso perplessità per la ricaduta finanziaria delle penali.
Manca ancora l’ultimo parere dell’Avvocatura, quello che serve a capire quali siano i margini in caso di un prevedibile contenzioso legale a suon di miliardi. Sulla carta con l’addio ad Aspi si rischiano 23 miliardi di euro. Con la modifica introdotta nel decreto Milleproroghe M5S e Pd sperano di ridurla a 7 miliardi. Conte sta decidendo se puntare sulla via del diritto amministrativo o su quella del civile. Propenderebbe per quest’ultima perché gli darebbe uno scudo più solido contro i ricorsi. Si potrebbe appellare a un articolo del Codice che considera nullo qualsiasi accordo che non preveda una responsabilità per dolo o colpa grave. Ora tocca alla politica. I mille imbarazzi di De Micheli e Zingaretti svelano due preoccupazioni. Primo: le divisioni del Pd, dove non tutti, soprattutto gli ex renziani, sembrano contenti di rimanere sulla scia Di Maio che ancora ieri sosteneva che «non si devono più fare profitti sulle nostre autostrade, mettendo a rischio la vita di molti italiani». Il secondo timore è sempre il solito: Renzi. L’ex rottamatore insiste a chiedere di non pronunciarsi prima dei processi: «Chi decide? – accusa – Le regole e le leggi sono cose serie». Dargli l’occasione di lanciare i fuochi d’artificio alla vigilia del voto in Emilia, dove Zingaretti si gioca tutto, è la migliore risposta a chi si chiede perché il segretario stia ancora tentennando.