Il Nord alla riconquista di Confindustria. Per la successione al salernitano Vincenzo Boccia, leader degli industriali in scadenza a maggio, ci sono cinque potenziali candidature. Tutte del Nord industriale, tutte all’insegna della discontinuità, tutte contro una Confindustria percepita da molti associati come troppo romanocentrica: Carlo Bonomi (classe 1966), presidente di Assolombarda, la potente associazione degli imprenditori di Milano; Andrea Illy (1964), presidente di Illycaffè; Licia Mattioli (1967), torinese, imprenditrice orafa, vicepresidente della Confindustria nazionale; Emanuele Orsini (1973), emiliano, presidente di Federlegno; Giuseppe Pasini (1961), siderurgico, presidente degli industriali di Brescia. Nessuno finora si è candidato ufficialmente perché il rigido regolamento stabilisce che lo si possa fare solo dopo la nomina dei tre saggi che consulteranno la base e che saranno sorteggiati (tra i nove nomi indicati dai “past president”) il 23 gennaio prossimo. Ma tutti e cinque informalmente sono già scesi in campo, incontrando i colleghi nei territori, convocando riunioni, costruendo i propri staff. E anche promettendo poltrone in caso di vittoria. Non arriveranno tutti e cinque a fine corsa, per le soglie di sbarramento previste dallo Statuto e perché da qui a marzo, quando sarà designato il nuovo presidente, sono assai probabili accordi trasversali. I bookmaker confindustriali scommettono su una sfida finale a due tra Carlo Bonomi e Licia Mattioli.
Di certo i cinque candidati sono un segnale di vitalità del sistema confindustriale (oltre 150 mila le aziende iscritte con più di cinque milioni di lavoratori dipendenti) in una stagione nella quale la crisi di rappresentatività dei corpi intermedi si è acuita con l’avanzata della politica populista. La Confindustria di Boccia ha stentato a trovare una sua chiara identità: ha incassato gli effetti del Jobs Act e di Industria 4.0 (governi Renzi e Gentiloni) ma nel successivo cambio di scenario politico ha provato a corteggiare la Lega di Salvini rimanendo alla fine isolata, senza interlocutori e con la sostanziale ostilità dei Cinquestelle.
Anche da qui nasce la voglia di riscatto confindustriale. Bastava leggere ieri l’intervista di Andrea Illy (il vero outsider in questa corsa alla presidenza, senza radicamento nelle dinamiche confindustriali ma con un brand aziendale fortissimo) al Mattino di Padova : «La società deve organizzarsi per avere le idee chiare di dove vuole andare e in questo gli imprenditori hanno un ruolo più importante ancora. Perché è aritmetico, se i due terzi del Pil vengono dal settore privato significa che chi fa la società è il privato. Perciò se vogliamo migliorare l’Italia dobbiamo iniziare dalle imprese». Insomma, tornare a dettare l’agenda del Paese. Quel che ha già provato a fare Bonomi da presidente di Assolombarda. È lui (piccolo imprenditore del settore biomedicale) il candidato decisamente più forte, spinto anche dal vincente “modello Milano”. I suoi sponsor si chiamano Gianfelice Rocca, Marco Tronchetti Provera, Diana Bracco. Con lui la Lombardia, ma non tutta (visto che Brescia e Lecco, per esempio, stanno con Pasini mentre Bergamo e Como ondeggiano) e una parte del Veneto (Treviso, Vicenza, Padova e Venezia). Poi i Piccoli e i Giovani; Roma e l’Emilia pronta a “tradire” il corregionale (è nato a Sassuolo) Orsini, che però può vantare buoni rapporti in Lombardia grazie al Salone del Mobile e a entrature — si dice — nella Compagnia delle Opere, braccio finanziario di Cl. Non molto, per ora.
Giuseppe Pasini non ha ceduto al pressing di chi gli chiedeva un passo indietro per non dividere la Lombardia, forte soprattutto del miliardo e passa di fatturato della sua Feralpi. È l’espressione del nostro capitalismo più solido dalle dimensioni medie, in un settore maturo (la siderurgia) e con una marcata spinta ai mercati globali. Modello a cui si ispira anche Licia Mattioli, con la sua piccola impresa di gioielli e con il suo incarico attuale in Confindustria, vicepresidente con la delega all’internazionalizzazione. Ha deciso di sfidare Bonomi, puntando a raccogliere il consenso di chi non sta con il leader di Assolombarda. È l’unica donna in pista ed è un atout. Ha dalla sua il Piemonte, anche se da Asti e Cuneo (territorio della Ferrero) non è arrivato l’appoggio. Scommette sulle tradizionali capricciose divisioni degli industriali veneti, sui malpancisti lombardi, sul Sud e sulla Liguria, rimasta senza un suo candidato dopo il niet di Edoardo Garrone alle lusinghe – pare – dello stesso Boccia. Tutti in campo per cercare un leader dei padroni.