L’indice dell’incertezza economica è un termometro costruito ogni mese da un gruppo di ricercatori di Stanford, della Northwestern e dell’Università di Chicago. Per l’Italia, segna la misura più alta da maggio. Neanche durante la crisi di governo dell’estate agli investitori nazionali ed esteri era parso di navigare tanto nella nebbia come oggi. Naturalmente si sono visti in passato livelli anche più alti: per esempio dopo le elezioni del 2018 o del 2013, che consegnarono parlamenti apparentemente ingestibili; o nel caos velleitario del governo M5S Lega.
Ma ora l’incertezza sulla piega che la classe politica darà al Paese va di pari passo con l’estendersi di una gelata sull’economia. Gli investimenti, tolto l’effetto inflazione, sono in declino da due anni. I manager del manifatturiero hanno fatto segnare a novembre il quattordicesimo mese di seguito di pessimismo crescente, su minimi mai visti neanche nel 2012. Anche l’indice dei servizi è sceso e la fiducia delle imprese è in calo costante da fine 2017. Tutto ciò, prima che si rovesciasse sui mercati l’onda d’urto in arrivo da Bagdad e Teheran. L’economia italiana è in una glaciazione progressiva. E la politica? Parla di sé con se stessa, rinunciando a riflettere su ciò che può fare per il Paese. Il vertice fra i due principali leader di maggioranza, Luigi Di Maio (M5S) e Nicola Zingaretti (Pd), ha prodotto solo un’ipotesi di legge elettorale pensata per dare un vantaggio tattico a loro due su tutti gli altri. Il premier Conte confonde i desideri («semplificare», «investimenti green», «natalità») con gli obiettivi e l’indicazione delle scelte necessarie per raggiungerli. Intanto la verifica per una «nuova» agenda di governo — implicita ammissione che quella vecchia non c’è — slitta. Per ora si aspettano le elezioni in Calabria e in Emilia-Romagna, poi chissà cos’altro. Anche l’impegno a decidere quel che si vuole fare delle autostrade scivola in avanti, quasi che in gioco non ci fosse la credibilità dell’Italia come luogo in cui regna la certezza del diritto. Stessa nebbia su Alitalia. Dal decreto «milleproroghe» (nomen omen) alla legge di Stabilità varata in ottobre, tutto vale «salvo intese». In fondo queste parole sono il riassunto di un’epoca in cui leader, tali «salvo intese», investono una dose abnorme di energia nella gestione di sé e del proprio mondo. La loro speranza è che per occuparsi del Paese ci sia sempre tempo dopo. La realtà che bussa da fuori sta dicendo che potrebbe essere la loro ultima illusione.