La notizia era nell’aria, ma è arrivata per lettera al premier Giuseppe Conte solo all’antivigilia di Natale: Lorenzo Fioramonti, esponente dei Cinque Stelle, ha dato le dimissioni dal suo incarico di ministro dell’Istruzione, deluso da una manovra che ha trascurato, a suo giudizio, le sue richieste minime per i bisogni della scuola italiana. La delusione, già esternata nelle ultime settimane, l’ha messa nera su bianco in un post su Facebook: «Sarebbe servito più coraggio da parte del governo per garantire quella “linea di galleggiamento” finanziaria di cui ho sempre parlato, soprattutto in un ambito così cruciale come l’università e la ricerca. Si tratta del vero motore del Paese, che costruisce il futuro di tutti noi. Pare che le risorse non si trovino mai quando si tratta della scuola e della ricerca, eppure si recuperano centinaia di milioni di euro in poche ore da destinare ad altre finalità quando c’è la volontà politica». E ribadita ieri sera su twitter: «Il tema non è accontentare le mie richieste ma decidere che Paese vogliamo».
Parole dure, che aprono una nuova, profonda crepa nel governo, cannoneggiato dalle opposizioni che chiedono con Forza Italia intanto un immediato chiarimento in Parlamento, e con la Lega e Fratelli d’Italia direttamente le dimissioni dell’esecutivo. Ma è nella stessa maggioranza che si respira una brutta aria. Italia viva va all’attacco: «Questo governo perde i ministri come le foglie d’autunno di un albero», commenta il deputato Giacomo Portas, mentre il presidente dei senatori renziani Davide Faraone rivendica: «Noi siamo stati i soli in maggioranza a dirlo: in manovra andavano trasferiti fondi da reddito di cittadinanza e quota 100». Il M5S si affida a Conte perché prenda in mano la situazione e scelga il sostituto, e si scaglia contro il ministro dimissionario, imputandogli pure il mancato pagamento delle quote al partito. E nonostante il Pd scelga di non commentare, la maggioranza balla, se è vero che tra i pentastellati c’è maretta, e sono forti le voci sulla nascita di un possibile gruppo guidato da Fioramonti con altri fuoriusciti dal M5S che però andrebbero a sostenere comunque il premier.
Tanta agitazione dunque, con il rischio che finisca — se va bene — con una verifica o perfino con un rimpasto, dagli esiti imprevisti. Perché le dimissioni non vengono viste solo come un gesto legato agli effetti della manovra, ma come un rimescolamento dei pesi all’interno degli stessi partiti. È molto chiaro che di lotta interna anche si tratta quando interviene il ministro della P. A., pure del M5S, Fabiana Dadone: «Trovo stucchevole che chi professi coraggio agli elettori poi scappi dalle responsabilità politiche. Se hai coraggio, non scappi. Se condividi davvero una battaglia, non scappi, ma mangi sale quando devi e porti avanti un prospetto». Durissimo anche il collega Emilio Carelli: «Le sue sono dimissioni ancor più incomprensibili in quanto nell’abdicare alle proprie responsabilità di governo, accusando il governo stesso, promette appoggio all’esecutivo che ha appena abbandonato». Non solo: dal M5S si fa sapere che Fioramonti, che avrebbe voluto 3 miliardi in più per la scuola, non avrebbe dato alle casse del partito, 70 mila euro. Ma se appunto dal Pd nessuno affonda apertamente, è dall’opposizione che si pretende un’«audizione urgente» del premier sulla «grave crisi» che si è aperta. «Avrebbe dovuto dimettersi prima», attacca l’azzurra Licia Ronzulli, con Mara Carfagna che chiede adesso «un ministro indipendente e di alto profilo». Giorgia Meloni per FdI saluta senza rimpianti «uno dei peggiori ministri che l’Italia repubblicana abbia mai avuto», e il leghista Giulio Centemero: «Fioramonti non ci mancherà».