È passata quasi una settimana dalla sua approvazione in consiglio dei ministri con la formula provvisoria del salvo intese, cioè in attesa di un accordo su tutti i punti. Ma il decreto legge Milleproroghe ancora non c’è. Forse oggi, venerdì, il testo dovrebbe essere inviato al Quirinale per la firma del Capo dello Stato. Poi dovrà essere trasmesso in Parlamento dove lo attende una conversione in legge non proprio semplice, specie al Senato, vista la contrarietà di Italia viva. Il nodo è sempre quello, l’articolo che riscrive le procedure in caso di revoca delle concessioni autostradali. Il decreto prevede il subentro immediato di Anas nella concessione. E, soprattutto, introduce un nuovo metodo di calcolo dell’indennizzo, uguale per tutti. Una formula che nel caso di Aspi, la società che ha in concessione anche il tratto del ponte Morandi di Genova, farebbe scendere da oltre 23 a circa 7 miliardi di euro la somma che lo Stato dovrebbe versare. Nonostante la contrarietà dei renziani, questa norma non dovrebbe cambiare. A ritardare l’invio del decreto al Quirinale è stata la necessità di sistemare alcune piccole coperture, legate ad altri articoli del provvedimento e intrecciate al disegno di legge di Bilancio, che nelle stesse ore veniva approvato dal Parlamento in via definitiva.
Ma la questione vera resta sempre quella delle concessioni autostradali, con Aspi che minaccia ricorsi miliardari se il governo dovesse andare avanti. Dopo mesi di guerriglia, ormai tra il governo e l’azienda è guerra aperta. E sembrano non esserci più le condizioni per una semplice rinegoziazione degli accordi che metta tutti d’accordo. Ci sono però due documenti utili per capire come potrebbe andare a finire. Il primo è una lettera scritta il 12 ottobre del 2007 dall’allora presidente del consiglio Romano Prodi. Il «suo» ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, aveva introdotto delle modifiche alle convenzioni con alcuni concessionari e questo aveva portato la commissione europea ad aprire una procedura d’infrazione. Prodi scrive allora al commissario alla concorrenza, Neelie Kroos, nel tentativo di frenare la procedura. E afferma che il nuovo schema è «idoneo a garantire quella certezza delle regole tariffarie che costituisce condizione essenziale per attrarre risorse finanziarie private». Tradotto, cambiare le regole in corsa può mettere a rischio la capacità di attirare gli investimenti privati. Il secondo documento è la lettera del 13 marzo 2008 con cui l’allora presidente dell’Anas Pietro Ciucci approva la convenzione con Aspi. «La determinazione dell’importo da riconoscere in caso di decadenza — scrive Ciucci — è uno dei cardini del contratto ed è finalizzato a dare maggiore effettività alla clausola di decadenza stessa. Il contenuto della clausola è particolarmente rilevante per la “bancabilità” del piano finanziario». Anche qui, tradotto: le regole sull’indennizzo non possono essere modificate unilateralmente, cioè senza un accordo fra le parti, come invece vuole fare il governo. E seguire questa strada metterebbe a rischio la sostenibilità finanziaria dell’azienda, alla quale le banche potrebbero chiedere di rientrare dai prestiti con la possibilità di mandarla in default.
È vero che questi due documenti sembrano sostenere le ragioni di Aspi. Anzi, l’azienda ha usato proprio questi argomenti quando ha detto che considererà il contratto risolto se il governo dovesse far convertire in legge il decreto, chiedendo un indennizzo calcolato con le vecchie regole. Ma è anche vero che da quei documenti sono passati più di dieci anni. E nel frattempo è successa una tragedia come quella del ponte Morandi, che ha fatto 43 morti e sconvolto un Paese intero. Sulla modifica delle regole per l’indennizzo, con l’eccezione di Italia viva, il governo sembra compatto e deciso a procedere. Ma sul fatto che si arrivi davvero alla revoca della concessione è ancora tutto da vedere. Il governo ha detto che prenderà una decisione entro gennaio. Salvo intese, anche in questo caso.