Ultimo appuntamento alla cassa per Imu e Tasi prima della “fusione” prospettata dalla legge di Bilancio per l’anno prossimo. Il saldo 2019 in scadenza lunedì prossimo – 16 dicembre – sarà probabilmente l’ultimo in cui circa 18 milioni di contribuenti, tra famiglie e imprese, dovranno calcolare e pagare i due tributi.
Obiettivo 10,1 miliardi
Partendo dal gettito dell’anno scorso, si può stimare che i Comuni e l’Erario incasseranno almeno 10,1 miliardi di euro (di cui 9,5 dall’Imu e 0,6 dalla Tasi). Il conto a consuntivo, però, sarà un po’ più alto. In virtù della manovra firmata da Lega e Movimento 5 stelle, infatti, da quest’anno i consigli comunali sono liberi di votare aliquote più elevate ed eliminare sconti o agevolazioni. Intendiamoci: non ci sono rincari a tappeto, dato che in molte città il livello del prelievo è già al massimo. Ma Il Sole 24 Ore la scorsa primavera ha rilevato rialzi dell’Imu per almeno un tipo di aliquota in quasi un capoluogo su dieci (il 9,4%). E l’effetto si farà sentire proprio al saldo, secondo le regole Imu (applicabili anche alla Tasi):
1. l’acconto dello scorso 17 giugno – il 16 era domenica – avrebbe dovuto essere versato secondo le delibere comunali per il 2018, salva la possibilità di tenere conto già in quel momento di eventuali aliquote 2019 più favorevoli;
2. il saldo di lunedì prossimo va pagato usando le delibere per il 2019 pubblicate sul sito del dipartimento delle Finanze entro il 28 ottobre (www.finanze.it: l’unico ad avere valore legale) e andando a conguaglio in caso di variazioni.
Il saldo di quest’anno sarà anche l’ultimo in cui gli inquilini e gli altri occupanti degli immobili – come i comodatari – dovranno versare la propria quota della Tasi (dal 10 al 30% secondo la delibera comunale; 10% se il Comune non ha deciso nulla in merito). Dal 2020 l’importo ricadrà sul proprietario, e ci sarà anche un rincaro, perché gli inquilini che usano la casa come abitazione principale dal 2016 non pagano la propria fetta di Tasi. L’effetto è stimato in 14,5 milioni dalla relazione tecnica al disegno di legge di Bilancio. Più in generale, sparirà anche la vaga idea di service tax rappresentata dalla Tasi come tributo sui servizi comunali indivisibili e ci sarà un prelievo di tipo puramente patrimoniale.
Alcuni contribuenti, in realtà, sperimenteranno il passaggio dalla Tasi all’Imu già lunedì. Capiterà nei Comuni che quest’anno hanno azzerato la Tasi su alcuni tipi di fabbricato sostituendola con l’Imu. La maggior parte dei proprietari, comunque, dovrà ancora usare i codici tributo della Tasi (come il 3961 per gli «Altri fabbricati»). E i codici non saranno dismessi per molto tempo, perché dovranno essere utilizzati dai ritardatari in caso di ravvedimento – ricordiamo che nei primi 14 giorni si paga solo lo 0,1% di sanzione in più al giorno – e nelle ipotesi di contestazioni da parte del Comune.
Aliquote massime invariate
Se tutto andrà secondo i piani e il Parlamento approverà la manovra così com’è ora, l’appuntamento di lunedì prossimo sarà il penultimo in cui i contribuenti dovranno decrittare le delibere dei Comuni, spesso scritte a “schema libero”, senza tabelle riepilogative e con allegati non di rado annotati o completati a mano. È solo dal 2021, infatti, che gli amministratori locali dovranno inserire le aliquote in un’applicazione sul Portale del federalismo fiscale, che genererà un «prospetto delle aliquote» più leggibile.
Quello che non cambierà sarà il livello massimo del prelievo. La nuova Imu avrà come limite il 10,6 per mille, che oggi rappresenta la somma massima di Imu e Tasi. Inoltre, verrà fatto salvo l’aumento dello 0,8 per mille applicato da circa 300 Comuni – tra cui Roma e Milano – che l’hanno introdotto nel 2015 e poi sempre confermato. In queste città il massimale rimarrà l’11,4 per mille.
Il nuovo tributo potrà essere azzerato, cosa oggi impossibile a livello normativo per l’Imu. Ma non è difficile prevedere che questa possibilità si rivelerà puramente teorica per la stragrande maggioranza dei sindaci. Al contrario, l’aliquota base della nuova imposta salirà dal 7,6 all’8,6 per mille. Scelta che non impedisce ovviamente gli sconti, ma che rischia di segnare un nuovo benchmark più elevato, per gli immobili tassati con il livello base.
Insomma, i proprietari continueranno a subire un tax rate più che doppio rispetto ai 9,2 miliardi del 2011, ultimo anno dell’Ici. Il tutto a fronte di prezzi medi delle abitazioni esistenti che l’Istat nel secondo trimestre 2019 ha misurato ancora in calo del 23,1% rispetto al 2011. Con il risultato che spesso in provincia si pagano i tributi immobiliari su valori catastali superiori a quelli di mercato.