C ’è una domanda che più di ogni altra rischia di determinare la futura stabilità finanziaria dell’Italia: cosa vuole davvero la Lega? Il partito di Matteo Salvini è intorno al 30% nei sondaggi, un risultato che potrebbe proiettarlo a Palazzo Chigi in caso di nuove elezioni. Ma finché gli investitori avranno dubbi sulle sue reali intenzioni in materia di politica economica, la possibilità di un governo di destra è destinata a provocare incertezza sul valore di azioni e obbligazioni italiane e sui titoli di Stato. La Lega è un partito ben organizzato, ancorato al territorio, e molto leale al suo leader.
Ma contiene al suo interno due anime. Da una parte c’è un’ala pragmatica, che ha occupato posizioni chiave nel governo con i 5 Stelle e che rappresenta le istanze più tradizionali del Carroccio.
Questa Lega è interessata ad aumentare il deficit pubblico per ridurre il carico fiscale, ma non è disposta a far salire in maniera eccessiva lo spread o ad abbandonare l’euro. La sua strategia durante il governo giallo-verde è stata quella di trattare a oltranza con la Commissione Europea per ottenere della flessibilità sui conti pubblici, ma con l’obbiettivo di raggiungere comunque un compromesso, evitando di spaventare eccessivamente gli investitori.
La seconda ala, invece, è quella sovranista, che vede l’euro come il principale problema economico dell’Italia, e l’uscita dalla moneta unica come condizione necessaria per la ripresa. Questa fazione, che non ha espresso figure di rilievo nel primo governo Conte, è convinta che l’Italia debba approvare leggi di Bilancio decisamente espansive per rilanciare l’economia, non vede lo spread alto come un problema, ed è disposta ad andare allo scontro con la Commissione Europea, anche ipotizzando — se non addirittura auspicando — la possibilità di una cosiddetta “Ital-exit”.
La polemica sul fondo salva-Stati (Mes) ha riportato prepotentemente sulla scena l’ambiguità della Lega sulla moneta unica. Il partito di Salvini sta raccogliendo questo weekend le firme contro una possibile riforma del Mes, perché la ritiene pericolosa per l’economia italiana, e per l’abolizione tout court del fondo — una mossa che ha senso soltanto se si vuole abbandonare l’euro.
Al netto dei cambiamenti di cui si discute, il Mes è essenziale per il buon funzionamento della moneta unica. Senza questo meccanismo, la Banca Centrale Europea non potrebbe acquistare i titoli di Stato di un Paese in crisi, e l’euro ritornerebbe ai giorni bui della crisi del debito sovrano di inizio decennio. Se ci dovessero essere nuove elezioni e Salvini dovesse diventare primo ministro, quale sarà la sua politica economica? Riprenderà con la linea pragmatica seguita nel primo governo Conte? O si scontrerà con mercati e Commissione Europea, anche a costo di tornare alla lira? Resterà nelle strutture chiave della moneta unica come il Mes, contribuendo a scriverne le riforme, come ha fatto il governo di cui era vicepremier? Oppure ne chiederà l’abolizione come sta facendo ora?
Salvini ha provato a chiarire il suo pensiero dicendo di non volere «nessuna uscita dall’Euro o dall’Europa». Purtroppo la sua storia recente rende difficile credergli. Per anni Salvini ha fatto campagna elettorale con lo slogan “Basta Euro”.
Il programma della Lega per le elezioni del 2018 auspicava un ritorno alla Comunità economica Europea precedente al trattato di Maastricht e prometteva di cercare partner per ottenere un’uscita concordata. Se Salvini ha cambiato davvero idea sull’euro, deve spiegarlo in maniera chiara. In alternativa, è legittimo pensare che lui ne condivida le istanze. Molti investitori ritengono l’uscita dall’euro un’ipotesi talmente pericolosa da preferire vendere anche in presenza di un minimo rischio. L’Ital-exit comporterebbe un tentativo immediato di ridenominazione dei titoli di Stato nella nuova valuta, che si deprezzerebbe sicuramente nei confronti dell’euro. L’Italia subirebbe uno shock economico iniziale che avrebbe delle conseguenze sul valore dei titoli azionari delle sue aziende. Meglio dunque vendere prima, e fare domande poi.
Purtroppo è facile immaginare che, anche in caso di elezioni, Salvini non abbia alcun interesse a tacitare le due anime della Lega. I dubbi sulla politica economica di un suo eventuale governo sono dunque destinati a permanere e, con loro, le incertezze sul futuro dell’Italia.