Ci risiamo. Quante volte è fallita Alitalia? Quante volte è stata commissariata? Quanti articoli sono stati scritti sulla crisi della compagnia di bandiera? E con quanta ipocrisia ogni volta si è ripartiti dal via?
Tutto per non accettare un principio che dovrebbe essere alla base di qualsiasi vicenda economica: siamo in un mercato che è nazionale, europeo e globale. Lo Stato può fare qualcosa ma non può fare tutto. Di sicuro non può decidere il valore di un’azienda. Non può a tavolino permettere a una società di sopravvivere a perdite per ormai miliardi negli anni. E per di più non può farlo a spese di tutta la comunità, di tutti i contribuenti. Pensare poi che lo Stato debba arrivare alla nazionalizzazione è la classica scorciatoia che la politica prende quando non sa indicare una direzione al Paese, quando non ha una politica industriale che possa valorizzare le competenze, che sono tante, all’interno delle aziende si chiamino esse Alitalia o Ilva. Il tema non è pubblico e privato. Ci sono fior di aziende che vedono l’azionista Stato al loro interno e che vanno benissimo (tendiamo a pensare perché il socio pubblico se ne sta alla larga). Come aziende private che si trovano in difficoltà. Ma quelle private o pubbliche che reggono alla competizione sono le stesse che hanno fatto scelte a volte anche dolorose ma che hanno individuato strategie a lungo termine. O stiamo dicendo che tutti quelli che si sono avvicinati ad Alitalia negli ultimi anni sono stati degli incapaci? L’elenco è lungo, Air France-Klm, Etihad. E continua con le Fs (azienda pubblica ammirata all’estero per capacità tecnologiche e di servizio), Delta (prima compagnia al mondo), Lufthansa (che solo negli ultimi anni è stata capace di rilanciare la vecchia Swissair e la belga Sabena). Perché uno dopo l’altro hanno gettato la spugna? Il dubbio è che il nostro Paese, e segnatamente la politica di questi ultimi anni, non abbia preferito le operazioni-verità. Ma sia stata tesa a raccontare mondi dove il debito pubblico non esiste e si possono spendere soldi a piacere, le aziende vanno salvate per principio e non perché in grado potenzialmente di stare sul mercato e a dare ai lavoratori illusioni invece che assistenza, formazione e aiuti per trovare impieghi stabili.