Si apre un nuovo fronte nella maggioranza. Ed è quello del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità creato per dare assistenza finanziaria ai Paesi della zona euro che si trovano in difficoltà e che, secondo i critici, potrebbe spingere alla ristrutturazione del debito i Paesi che lo utilizzeranno, Italia compresa. Il meccanismo è stato modificato a giugno dall’Eurogruppo, nel quale siedono i ministri dell’Economia dei Paesi dell’Euro, e la procedura deve essere chiusa entro dicembre.
A tenere alta la temperatura della polemica è sempre la Lega: «Conte venga in Parlamento a dire la verità, quelle modifiche mettono a rischio i risparmi degli italiani» attacca Matteo Salvini. Ma il Movimento 5 Stelle non fa quadrato attorno al premier: «Chiediamo a Luigi Di Maio di convocare un vertice di maggioranza, perché sul Mes non siamo d’accordo», scrivono i deputati della commissione Finanze. E sono proprio queste parole a portare lo scontro dentro la maggioranza. A calmare la acque non basta il fatto che il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri abbia inviato già il 7 novembre al presidente della commissione Finanze del Senato, il leghista Alberto Bagnai, la richiesta di essere ascoltato sul tema e che la seduta si terrà il 27 novembre. Non basta nemmeno che il ministro per gli Affari europei Vincenzo Amendola sottolinei, riferendosi proprio alla Lega, come «chi ha dubbi adesso governava durante il negoziato».
A fine giornata è di nuovo Palazzo Chigi a intervenire. Spiegando che, «senza una logica di pacchetto», il governo punterà a un rinvio della riforma del Mes nel consiglio Ue di dicembre che dovrebbe fare l’ultimo passo e per il quale serve l’unanimità. Ma a cosa si riferisce Palazzo Chigi quando parla di «pacchetto»?
Due risoluzioni approvate da Camera e Senato a giugno, maggioranza gialloverde, chiedono al governo di legare i destini del Mes ad altre due riforme, quella della garanzia sui depositi bancari e quella della competitività. Ma adesso l’Italia può fare davvero dietrofront? Se la questione è molto tecnica, lo scontro è tutto politico. Alimentato anche dal vertice di ieri sulla giustizia, altro tema scivoloso. E certificato dal fatto che la due giorni di governo annunciata dallo stesso Conte è stata derubricata a semplice cena, fissata dopo il consiglio dei ministri di domani.