Ursula von der Leyen ieri ha mosso un altro passo verso un’incoronazione sofferta più che mai. Fra un paio di settimane, con un mese di ritardo, la tedesca può ancora diventare presidente della Commissione in un dicembre che l’Unione europea si annuncia denso di decisioni che riguardano da vicino l’Italia. Una su tutte: il Consiglio europeo del 12-13 dicembre sarà chiamato ad approvare una riforma del fondo salvataggi o Meccanismo europeo di stabilità (Esm, nell’acronimo inglese) pensato in gran parte per gestire qualunque problema venisse dal debito pubblico italiano. Che le preoccupazioni in proposito non siano scomparse lo dimostra la giornata di ieri: all’improvviso lo scarto nei rendimenti fra titoli pubblici italiani e tedeschi a dieci anni si è allargato bruscamente a 169 punti (1,69%) secondo Bloomberg e 180 secondo Reuters. È un premio al rischio di circa 50 punti più alto rispetto ai minimi segnati durante l’attuale governo a metà settembre: gli investitori, in buona parte, stanno iniziando a comprendere tutta la fragilità della coalizione al potere e sospettano che una chiusura dell’Ilva possa diventare il colpo fatale.
L’Italia non arriva dunque certo in una posizione di forza ai negoziati sull’area euro che la riguardano. A dicembre, la riforma del fondo salvataggi sposterà una dose essenziale di potere nella gestione delle crisi verso questo organismo gestito dai governi e diretto dal tedesco Klaus Regling. Con una capacità di prestiti fino a circa 700 miliardi di euro, l’Esm ha il compito di operare in concreto il sostegno o salvataggio di Paesi che sono contagiati da crisi esterne o non hanno più accesso al mercato perché perdono la fiducia degli investitori. La riforma sul tavolo dei leader, già approvata dai ministri finanziari, introduce importanti novità. Quando un governo chiede l’aiuto dell’Esm, come sempre la Commissione svolgerà un’«analisi di sostenibilità del debito». A lo stesso fondo salvataggi – si legge nella proposta – «svolge le proprie analisi e valutazioni dal punto di vista di ci eroga prestiti». E naturalmente acconsente al salvataggio solo se conclude che il Paese in crisi è in grado di rimborsare. Secondo alcuni, questo passaggio formalizza il potere del fondo di Regling e prelude potenzialmente a un meccanismo di ristrutturazione del debito dei Paesi in crisi preliminare al salvataggio. In altri termini, come per le banche, i creditori privati dovrebbero accettare perdite prima che il governo in difficoltà possa ottenere un supporto pubblico dall’Esm.
A Bruxelles si contesta che queste modifiche segnino un travaso del potere dalla Commissione, attenta agli equilibri complessivi, al fondo salvataggi «dal punto di vista del creditore»: cioè in sostanza della Germania e dei Paesi nordici, che mettono a disposizione la gran parte dei fondi. Ma la tensione su questi passaggi è palpabile. A maggior ragione perché in genere il potere di Roma nell’Esm rischia di ridursi, anche se in futuro non avesse bisogno di prestiti. Solo i Paesi che rappresentano individualmente più del 15% dell’economia dell’area euro hanno infatti diritto di veto nel fondo salvataggi. E anni di crescita zero fanno sì che l’Italia presto rischi di scendere sotto la soglia e perdere il suo veto, che resterebbe in mano solo a Francia e Germania.
È possibile che proprio per questo Berlino non protesti per l’evidente incapacità dell’Italia di fermare l’aumento del suo debito: si conta che, in caso di crisi futura, sarà più facile di prima gestire il problema imponendo perdite ai creditori privati. Del resto ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz ha appena avanzato una proposta che complica un po’ il quadro per l’Italia: darà il via libera a un sistema comune di garanzia sui depositi bancari solo se le banche dei Paesi del sud Europa ridurranno l’esposizione dei titoli dei loro governi. Questa linea dell’intransigenza però non sta vincendo ovunque. Sembra molto probabile che, da dicembre, guiderà la direzione Affari economici della Commissione un’economista francese esperta e molto aperta: la francese Laurence Boone.