Sul piano B, la nazionalizzazione, si va in ordine sparso. C’è chi, come il ministro Roberto Speranza, la considera «un’ipotesi ragionevole». Chi, come il ministro Roberto Gualtieri, non la esclude ma giudica «una pericolosa illusione addossare tutti i costi allo Stato». E chi, come il segretario generale della Fim-Uil Franco Bentivogli, la considera «una follia». Nell’attesa di capire se dover ragionare davvero di quest’opzione estrema, non è ancora fissato l’incontro (che era atteso per oggi) tra il premier Giuseppe Conte e i parlamentari pugliesi dei 5 Stelle, contrari all’idea di ripristinare lo scudo penale per ArcelorMittal. Condizione che viene data da alcuni come necessaria (non si sa se sufficiente) per evitare che l’azienda franco-indiana proceda nella strada del recesso dal contratto di gestione dell’Ilva. Non è fissato neanche un incontro tra il premier e i vertici dell’azienda.
Il Movimento, come spesso gli capita in questo periodo, è diviso. C’è un nocciolo duro, capeggiato da Barbara Lezzi, che è fermamente contrario. L’uscita del deputato Nunzio Angiola, che si è detto speranzoso in un sì dei parlamentari 5 Stelle, è stata immediatamente rinnegata da Francesco Silvestri, capogruppo vicario: «La posizione di Angiola è personale». Prima di impegnare il Movimento, bisogna capire se è proprio necessario questo passo. Il premier ha spiegato che il problema «è industriale non giudiziario» e che si penserà a una reintroduzione in qualche forma, semmai, solo se l’azienda accettasse di rispettare i patti.
Intanto i legali dei commissari straordinari dell’ex Ilva presenteranno un ricorso urgente con la tesi che non ci sono le condizioni giuridiche per il recesso annunciato da ArcelorMittal. Il nodo è lo scudo penale, la cui presenza non è citata nel contratto, ma che potrebbe essere compresa nella variazione del «quadro giuridico generale», condizione di possibile recesso. L’azienda, nel frattempo, ha bloccato lo scarico delle materie prime nel porto di Taranto.
Gli industriali
Confindustria attacca: Paese incapace di dare regole chiare e precise per gli investimenti
Lo stallo è una mina pericolosa nel governo, ma un fallimento avrebbe conseguenze gravi anche sul Pil e sull’occupazione del Mezzogiorno. Confindustria protesta e con il direttore generale Marcella Panucci segnala che la vicenda dimostra «l’incapacità del Paese di dare alle imprese regole certe e chiare a supporto degli investimenti». Il balletto sullo scudo penale, messo e tolto più volte, va avanti dal 2015. L’azienda franco-indiana, nel frattempo, ha visto cambiare le condizioni di mercato e vorrebbe approfittarne per ottenere 5 mila esuberi. L’opposizione è compatta per il ripristino dello scudo e Forza Italia ha presentato un emendamento in questa direzione, così come Italia viva. Il Pd attende per non mettere in imbarazzo i partner di governo. La palla, ora, è in mano all’ArcelorMittal e al premier.