Nessun cenno da ArcelorMittal. Le 48 ore intimate dal Governo sono passate ed è lo stesso premier da Taranto, dove entra nello stabilimento dell’ex Ilva e incontra operai e cittadini, a riconoscere che servirà ancora tempo. «Non ho la soluzione in tasca, vedremo nei prossimi giorni», ammette Giuseppe Conte. Nel frattempo, a dispetto delle dichiarazioni di compattezza, la maggioranza si divide. Innanzitutto sullo scudo penale: Pd e Italia Viva restano fermi sulla necessità di reintrodurlo subito, con emendamenti al Dl fiscale. Il M5S si irrigidisce, con Luigi Di Maio, timoroso di un nuovo Vietnam parlamentare modello Tav, che vede prima i direttivi di Camera e Senato e poi riunisce lo stato maggiore del Movimento di Governo. Subito dopo avverte: «Se il Pd o altri partiti della maggioranza presentano emendamenti senza un accordo è un problema per il Governo». I pentastellati sono pronti al contrattacco, con una loro proposta di modifica che bypassa però la questione immunità.
Ma sono anche le alternative ad ArcelorMittal, nel caso confermasse il suo disimpegno, a spaccare il “quadripartito” che sostiene il Conte 2. Sulla nazionalizzazione che Conte non ha escluso apre il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli. Il presidente Inps Pasquale Tridico, vicino a Di Maio, si dice convinto che «questa situazione potrà avere felice soluzione solo quando lo Stato sarà il maggiore player». Ma i dem, con l’eccezione del ministro per il Sud Francesco Boccia, frenano. «L’ipotesi sul tavolo è che Mittal adempia ai propri impegni: sviluppare gli investimenti, il piano ambientale e industriale che si è impegnata a portare avanti», chiarisce il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Più netto ancora il viceministro Antonio Misiani: «Il nostro piano A è trattare con ArcelorMittal, credo sia sbagliato evocare piani B e C». Nessuno si sbilancia sulla possibilità che circola da giorni di un coinvolgimento di Cassa depositi e prestiti. Opzione che dal punto di vista tecnico presenterebbe non pochi problemi, legati allo statuto Cdp e alla compatibilità con le regole Ue sugli aiuti di Stato. «Penso che questo Governo abbia generato la causa e questo Governo dovrebbe cercare di risolverla nelle logiche di mercato e nella logica di impresa», afferma il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia. Che sceglie una battuta per esprimere il principio di proporzionalità tra le sanzioni: «Se diamo la galera a chi evade 100mila euro pensa a uno che fa danni all’economia del Paese e fa scappare gli investitori quanto dovremmo dare».
Conte temporeggia e a Taranto trova una situazione a due facce. Sul piazzale della portineria D, una piccola folla di cittadini, abitanti del rione Tamburi, ambientalisti ed esponenti di movimenti e associazioni (2-300 persone) lo assedia al grido di “Taranto libera” e reclama la chiusura del sito. Dopo il premier va al consiglio di fabbrica per incontrare gli operai che lo accolgono con gli applausi. «Lei ha visto una faccia della medaglia», afferma Antonio Talò, della Uilm, riferendosi a quanto accaduto davanti alla portineria. «Qui ci sono lavoratori che vogliono risposte», dice Biagio Prisciano, della Fim Cisl. Le loro preoccupazioni sono la bonifica e il lavoro. A loro Conte ribadisce: «Il primo segnale che dobbiamo dare è l’orgoglio del sistema Italia. Se chiedi di venire in Italia sei il benvenuto, se firmi un contratto lo rispetti, sul piano occupazionale e ambientale». L’incontro all’esterno dell’acciaieria si svolge in un clima tesissimo. Conte, più che parlare, ascolta tutti,e tutti gli ripetono che gli altiforni vanno spenti, che la fabbrica inquina e uccide, e che bisogna fare la bonifica impiegando chi già lavora nell’ex Ilva. «Perché a Taranto è permesso tutto?», gli urlano. «A me dovete dire cosa volete fare», chiede il premier. E se prova a domandare ai cittadini se hanno un’idea di futuro, la risposta è univoca: chiusura. Il tutto accompagnato dal racconto di una città colpita dalle malattie e dove i bambini non possono andare a scuola nei giorni di vento, quando si sollevano le polveri minerali. Qualcuno si spinge a chiedere per Taranto la soluzione Genova: chiusura dell’area a caldo, mantenimento delle lavorazioni a freddo, il tutto non disgiunto della bonifica. Una donna gli chiede se è possibile trovare un’alternativa ad ArcelorMittal per portare avanti un diverso piano industriale. Il premier nicchia. Più tardi dirà: «Dobbiamo valutare il futuro di questo stabilimento che dovrà essere socialmente responsabile».