Ormai vale tutto, anche l’orologio della piazza fermo da quasi tre anni. «Saremo noi a farlo ripartire» ha annunciato trionfante Matteo Salvini commentando la caduta della giunta di Imola, dove da due secoli il tempo viene dettato dalle lancette sulla torre del palazzo comunale.
L’ex ministro degli Interni non ha perso l’occasione di trasformare in un fatto di portata nazionale le dimissioni annunciate di Manuela Sangiorgi. Forse fiutando l’aria, la sindaca a 5 stelle che aveva strappato il municipio ai discendenti del Pci dopo 73 anni di monocolori più o meno rossi ha motivato la sua resa dopo mesi di inerzia con l’insostenibilità dell’alleanza Pd-Cinque Stelle. La circostanza che da mesi fosse circondata da uno staff leghista e risulti vicina all’attuale capogruppo leghista potrebbe avere avuto una qualche influenza. Ma cosa vuoi che importi. Sono dettagli locali, questi.
In un tempo lontano, una frase sulla nazionalizzazione di questa regione avrebbe avuto ben altro significato. Ma proprio la distanza da quel passato contribuisce a creare una illusione ottica. La regione rossa per eccellenza è contendibile, da vent’anni almeno. Caddero Parma e Bologna nel 1999, sono cadute Imola e Ferrara e altri avamposti. Adesso che cresce a dismisura un sentimento da Emilia-Romagna o morte, quest’ultima intesa dell’attuale governo, in senso politico, tutto quell’armamentario storico, l’unico posto dove funzionava il socialismo reale e la terra degli anarchici libertari, sta diventando un peso. Perché aumenta il valore della posta in gioco. Perché mai prima d’ora questa terra, considerata «eccezione» anche da Palmiro Togliatti, che ai compagni bolognesi non faceva toccare palla, è stata il crocevia dei destini nazionali come lo sarà il 26 gennaio con le elezioni regionali. Emilia-Romagna, Italia. Per la prima volta.
«Inutile tentare di ridurre tutto a una questione di buona amministrazione. Da qui alle elezioni sarà un crescendo. È una partita a campo aperto, svegliamoci e giochiamola fino in fondo». Nonostante una brutta influenza e gli antibiotici, Virginio Merola è in modalità battagliera. Con l’anzianità del secondo mandato, il sindaco di Bologna si è ritagliato un ruolo da coscienza critica del Pd. «Stefano Bonaccini è un amministratore eccezionale. Però non ci possiamo limitare all’elenco delle molte cose buone fatte in questi cinque anni. Imola ci insegna che la gente cambia cavallo anche se sta bene. Poi si accorge di avere sbagliato, come dimostrano i fatti di questi giorni, prodotto di una incredibile combinazione di insipienza e incapacità dei Cinque Stelle. Ma il rischio esiste. Dobbiamo scuoterci, tutti insieme. Non minimizziamo: è una sfida nazionale tra due visioni alternative della società. E a noi manca ancora un bel racconto da contrapporre a quello, falso, del centrodestra». La retorica del buon mediano tanto cara a Bonaccini rischia di non bastare di fronte alla marea montante di destra. L’attuale presidente gode di buoni sondaggi e di buoni numeri che mantengono l’Emilia-Romagna al passo con le regioni europee più avanzate. Ma la disfatta umbra del centrosinistra forse gli imporrà di cambiare schema, uscendo dal solco istituzionale per giocare a tutto campo. La Lega parte già con il vantaggio ottenuto alle ultime Europee, quando con il 33,8% superò il 31,2% del Pd. Il resto del centrodestra giunse a un 9,7% che oggi forse pesa più del 12,9% con il quale si restrinsero i 5 Stelle. Marco Valbruzzi, docente di Scienze politiche a Bologna, sostiene che non si sfugge al clima da ultima spiaggia. «Il tentativo di slegare la contesa elettorale dalla sopravvivenza del governo nazionale è una battaglia controvento».
La Lega ha il problema opposto. Le parole più ricorrenti della candidata Lucia Borgonzoni nelle sue apparizioni pubbliche sono «Matteo» e «Salvini». Ma tutto l’apparato leghista sembra sintonizzato sul 26 gennaio. Dalla fatal Imola, il segretario provinciale Marco Casalini dice che c’è tempo, per pensare a chi inaugurerà l’orologio restaurato. «Da oggi cominciamo a pubblicizzare la manifestazione nazionale del 14 novembre a Bologna. Siamo già in campagna, siamo pronti a tutto. Avviso ai miei naviganti: tutti mobilitati, contano solo le regionali». Alan Fabbri, leghista appassionato di saghe celtiche e di druidi, da pochi mesi primo sindaco non di sinistra a Ferrara, è convinto che sia la madre di tutte le battaglie. «Se vinciamo cambia la storia politica dell’Italia, facciamo uno scoop internazionale…». A maggio, ha perso in soli 16 seggi su 160. Quelli del centro storico. «Anche qui il Pd ha avallato una politica lontana dai ceti popolari. Ce la giochiamo fuori dalla Ztl, dove siamo più forti. Bonaccini rivendica l’aumento del Pil regionale. Sono solo numeri. Noi dobbiamo parlare proprio a chi si sveglia ogni mattina per produrre quel benessere. Si vince con loro». Mancano ancora tre mesi, e sembra già vigilia. Preparate i pop corn per l’Emilia-Romagna, verrebbe da dire. Ma anche questa frase evoca ricordi poco piacevoli a sinistra.