Germania, auto, dazi. Il lessico delle previsioni dell’andamento dell’industria italiana segue un sentiero obbligato indotto dai timori e dalle preoccupazioni legate all’evoluzione del manifatturiero tedesco, alla riconversione dell’auto verso l’elettrico e dai provvedimenti figli delle guerre commerciali della fine degli anni Dieci. Prometeia e Intesa Sanpaolo hanno offerto ieri le loro previsioni sulle tendenze dell’industria italiana e non hanno potuto non utilizzare quel lessico. Il 2019 che volge al termine è stato sicuramente uno di quegli anni che ci siamo abituati a catalogare come orribili con un debole +0,2% di fatturato a prezzi costanti, il 2020 dovrebbe segnare una leggera risalita a +1,1% destinata a proseguire anche l’anno successivo (+1,4%). Per Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo, è il segno di «una resilienza e di una forza in termini di redditività» dell’industria italiana che «ha una struttura patrimoniale più forte di ieri», ma le sue previsioni si basano tutto sommato su uno scenario relativamente ottimistico. Scontano in positivo una ripresina degli investimenti, un’interruzione della guerra commerciale tra Washington e Pechino e soprattutto uno stop alle intenzioni americane di applicare dazi anche ai prodotti europei, segnatamente le auto tedesche.
E quando si parla di prospettive di crescita si torna a sottolineare giocoforza la centralità del settore dell’automotive. Se le vendite di Panda hanno marcato la ripresina italiana 2016-18, oggi dipendiamo in maniera significativa dall’andamento dell’industria dell’auto tedesca e in seconda battuta dal timing della transizione tecnologica verso il motore elettrico. I dati di Prometeia e Intesa ci dicono che la nostra industria delle componenti contribuisce per il 2,4% alla locomotiva tedesca — e il dato non è eclatante — ma se guardiamo al peso del mercato di sbocco tedesco per l’automotive made in Italy arriviamo a quota 20%. Basta fare un sommario elenco dei distretti interessati per averne piena contezza: gravitano più di altri sulla Germania la gomma-plastica del Sebino Bergamasco, la concia di Arzignano, i metalli di Brescia, la meccanica strumentale di Bergamo e la metalmeccanica di Lecco. E se la produzione industriale tedesca perde oltre 4 punti tra gennaio e agosto ‘19, come è accaduto, le conseguenze sul nostro sistema distrettuale sono pesanti.
Ma oltre ad osservare l’andamento tedesco e le intenzioni di Trump cosa possiamo fare? Resta ancora tra parentesi la definizione di una politica industriale per l’auto: il ministro Stefano Patuanelli ha promesso la convocazione di tre gruppi di lavoro, ma le date non sono ancora note. E il tempo è una risorsa scarsa. In attesa di notizie da Roma (e da Bruxelles), molto ci si può attendere sul fronte delle imprese. La ricetta è semplice: più investimenti privati. Spiega De Felice: «Non potremo continuare a esportare così bene ed essere efficaci senza anche un ammodernamento degli impianti. Veniamo da un paio d’anni di dinamica degli investimenti troppo debole». E aggiunge Alessandra Lanza, partner di Prometeia: «È vero che le imprese si presentano molto più solide all’appuntamento di una congiuntura difficile. Hanno tutte ridotto l’indebitamento, ma a questo punto hanno una grande riserva di liquidità che devono tornare a investire».