C’è sempre uno scarto fra ciò che servirebbe a un Paese per usare al meglio le proprie risorse e ciò che serve ai partiti che lo governano, o ai loro elettori. Non succede solo in Italia: è l’essenza della democrazia che le decisioni non riflettano una razionalità astratta. Coloro che preferiscono quest’ultima — il governo degli esperti — nei sondaggi di solito sono gli stessi che poi si dichiarano a favore dell’uomo forte. Fra quest’ultimo e una manovra finanziaria imperfetta, sempre meglio la seconda.
Ora però che la legge di Bilancio rosso-gialla è atterrata a Bruxelles, proviamo un esperimento: come sarebbe stato questo pacchetto in assenza di gravità politica? Cosa avrebbe deciso con i cinque miliardi a disposizione un tiranno illuminato, per perseguire l’interesse collettivo e di lungo termine degli italiani? Perché di questo si tratta: assolti gli impegni urgenti dello Stato e bloccato l’aumento dell’Iva, restava da allocare una somma pari a un trecentesimo del reddito del Paese. Non un euro di più. Qualche dato rimasto un po’ in ombra aiuta a capire come si potrebbe fare una differenza con una somma tanto piccola: negli ultimi quattro anni (2015-2018), l’Italia è cresciuta quanto la Germania e più della Francia se si guarda al reddito per abitante.
Se invece si prende come metro di misura l’intera economia, l’Italia è rimasta indietro: cresciuta poco più di metà della Germania, molto meno della Francia. In altri termini le persone che restano nel Paese vivono in media un’esperienza di sviluppo più o meno normale per l’Europa. Il problema è che sempre meno persone restano in Italia e chi lascia porta via con sé conoscenze, produttività, domanda di case da abitare o di alimenti da consumare. Negli ultimi nove anni un milione di persone ha preso la porta d’uscita, secondo l’Istat, ma per motivi amministrativi questa è una cifra errata per difetto: sono di più. Proprio qui, nella perdita di un’umanità giovane e dinamica, si trova una grande causa della stagnazione del Paese e dunque anche parte dell’antidoto per spezzare sortilegio.
Bene, un governo degli esperti forse avrebbe concentrato le sue poche risorse per tamponare questa falla: detassare molto il solo lavoro giovanile e femminile, incoraggiare di più le aziende a crescere in dimensioni e tecnologia. Non spruzzare a pioggia minuscoli benefici.
Naturalmente quello in carica non è un governo degli esperti, a stento lo è degli eletti. I quattro partiti della maggioranza hanno piena legittimità costituzionale, ovvio, ma non avevano mai chiesto il voto per allearsi e in certi casi si detestano cordialmente. Sanno che molti italiani li sospettano di essersi messi insieme solo per conservare il posto in parlamento e non essere travolti dalla Lega. Dunque M5S, Pd, Leu e persino Italia viva di Matteo Renzi — l’ultima creatura — avvertono su di loro l’enorme pressione psicologica di dare subito qualcosa al maggior numero di elettori possibile. Hanno fretta di dimostrare che nella loro operazione c’è un dividendo anche per i governati, non solo per i governanti.
Il risultato è un bilancio senza una lettura del Paese. La riduzione delle tasse sul lavoro per dieci milioni di persone per ora è di dimensioni quasi impalpabili e lascia il sospetto che gli imprenditori l’abbiano reclamata tanto, in realtà, per non dover essere loro a aumentare i salari. Va detto però che di buono questa manovra ha sicuramente qualcosa: un nuovo inizio nella lotta all’evasione, sacrosanto, benché destinato a porre domande scomode sul diritto alla privacy e a complicare ulteriormente il rapporto delle imprese con l’amministrazione; positivo è anche l’inizio di una scrematura nell’accesso ai benefici fiscali: che un manager da 250 mila euro di reddito l’anno possa scaricare sul debito pubblico parte del suo abbonamento in palestra è un’assurdità tutta italiana.
Se però questa stagione di bilancio porta un grande segno meno, è proprio nel rapporto squilibrato fra generazioni. M5S è molto più votato dai giovani eppure, schierato a difesa delle pensioni precoci a «quota 100», ha privilegiato le fasce d’età medio-alta a spese dei suoi stessi elettori. Qui il Movimento sconta l’ambiguità della sua transizione dal patto con la Lega a quello con il Pd e Matteo Renzi. Quanto al Pd, è tornato a coinvolgere i sindacati, com’è naturale; ma questi sono da tempo dominati da lavoratori anziani e pensionati che reclamano già (entro aprile!) l’opposto di ciò che serve al Paese e ai suoi giovani: il disegno di una controriforma strutturale della legge Fornero.
Si oppone a tutto ciò solo Italia viva, però senza vedere la propria contraddizione. La modernizzazione di cui Renzi si fa portabandiera richiede scelte nette: è incompatibile con i compromessi tipici del sistema proporzionale, che pure si intravede come presupposto per la nascita del suo partito. L’esistenza stessa di Italia viva si giustifica con il potere di veto che può avere in una coalizione composita, mentre il programma di Italia viva è da maggioritario puro. Del resto tutta questa Legge di bilancio dà un’anteprima di come dietro il proporzionale sia sempre in agguato il piccolo cabotaggio. La buona notizia è che il crollo degli interessi sul debito e la lotta all’evasione potrebbero liberare molte risorse nei prossimi anni. Sarà il momento per questo governo di mostrare una sua visione della società. Se ne ha una. E, naturalmente, se ai prossimi anni ci arriva.