Ieri a Helsinki Roberto Gualtieri ha detto ai ministri finanziari europei che una manovra restrittiva sarebbe «controproducente» e il ministro dell’Economia potrebbe averli persuasi. L’area euro rallenta, la Germania probabilmente è già in recessione, l’economia italiana è ferma da più di un anno, mentre restano le incognite della Brexit e delle guerre commerciali dell’America di Donald Trump.
Quel che Gualtieri però non poteva ancora dire ieri, è cosa significhi in cifre il suo rifiuto di firmare una manovra restrittiva. Quello oggi è il dato più importante per il futuro del governo: sapere dove cade l’obiettivo di deficit dell’anno prossimo significa capire quanto grande sarà la correzione di bilancio necessaria, dunque quanto denaro il governo deve ritirare dall’economia per far tornare i conti; sulla base di questo numero diventa possibile stimare quanto spazio il governo avrà per tagliare le tasse o aumentare gli investimenti nel 2020, quindi quanto può rispondere alle attese degli italiani di ottenere in fretta più potere d’acquisto. Gualtieri non ha fornito cifre, per ora. Ma se questo Ecofin «informale» di Helsinki ha prodotto un risultato, esso indica che il quadro nell’area euro non è sostanzialmente cambiato. Un’eventuale riforma del patto di Stabilità è resa poco probabile dal disaccordo attorno al tavolo e comunque non riguarda il bilancio che l’Italia deve definire in poche settimane. Per questo il ministro dell’Economia è ripartito per Roma con la conferma che l’obiettivo di deficit per l’anno prossimo non dovrà discostarsi da quello del 2019. Il disavanzo dovrebbe essere vicinissimo al 2% del Prodotto lordo (Pil) quest’anno, e dunque così anche nel 2020. A meno di peggioramento dell’economia a breve, all’Italia non sarà permessa una manovra di aumento del disavanzo. Non sembra esserci alcuna possibilità di farlo salire neanche fino al 2,5% senza una procedura europea sui conti.
Il quadro europeo delle regole può accettare quella che in gergo si chiama «flessibilità», ma non sarà sospeso. Se dunque resta l’impegno del governo a prevenire un aumento dell’Iva da 23 miliardi (pari all’1,3% del Pil), è inevitabile che serva una stretta almeno da 15 miliardi di euro proprio ora che l’economia è ferma da 15 mesi. In più, senza significativi tagli delle tasse da far entrare in vigore subito.
Sulla carta le regole del patto di Stabilità prevedono infatti che l’Italia riduca ogni anno il deficit di una quota dello 0,6% del Pil in termini «strutturali» (in teoria valutato al netto delle misure passeggere e delle fluttuazioni economiche). Ma nessuno esigerà tanto. Un impegno su poche riforme chiare e su qualche investimento, oltre alla crescita zero, possono portare Bruxelles a chiedere un aggiustamento «strutturale» minimo o quasi nullo. Ciò però equivale pur sempre a un deficit per il 2020 che resta in zona 2% del Pil mentre oggi — saltato l’aumento dell’Iva — tende verso il 3%. Serve una correzione decisa, dato che quell’uno per cento del Pil di deficit in più sarebbe pari a oltre 17 miliardi.
Si pone dunque la questione delle risorse da trovare e delle linee rosse poste dalla maggioranza: non si possono cancellare le pensioni anticipate a «quota 100», né toccare la spesa su sanità ed enti locali, né l’Iva. Gualtieri conta che i proventi previsti dalla lotta all’evasione possano essere presi in conto da Bruxelles prima che i risultati arrivino. Ma la manovra che lo aspetta resta fra le più amare degli ultimi anni, anche con dolcificanti sui quali le idee a Roma non mancano mai: ultima, ampliare ancora di più la possibilità di riscatto con contributi scontati della laurea a fini pensionistici.