Il governo Conte II parte in salita, a giudicare dalle reazioni dell’opinione pubblica: infatti solo il 36% esprime una valutazione positiva, contro il 52% di giudizi negativi. L’indice di gradimento, calcolato escludendo coloro che non si esprimono, è pari a 41 e risulta molto distante da quello del precedente esecutivo gialloverde all’insediamento (60), come pure da tutti quelli che si sono succeduti dal 2006 in poi con l’eccezione del governo Gentiloni che, in continuità con il governo Renzi e a fronte della larga aspettativa di elezioni immediate all’indomani del referendum costituzionale, esordisce con un indice inferiore (35), per poi crescere stabilmente in popolarità fino alla fine della legislatura.
La freddezza con cui gli italiani accolgono il nuovo governo si spiega in molti modi: dallo sconcerto unito alla delusione per la fine del governo precedente — basti pensare che a fine luglio due su tre erano convinti che l’esecutivo gialloverde sarebbe durato ancora a lungo e il suo indice di gradimento era pari a 61— alla sorpresa per il radicale cambiamento di alleanza, alla diversa consistenza numerica dell’elettorato delle forze del nuovo governo rispetto a quella dell’opposizione a cui va aggiunta la quota (decisamente ampia) degli astensionisti. Non va inoltre dimenticato che, a fine luglio, l’ipotesi di un governo M5S-Pd risultava la meno gradita (15%) tra le diverse opzioni in campo.
Il gradimento, è pleonastico sottolinearlo, risulta prevalente solo tra gli elettori del Pd (74%) e del M5S (71%) tra i quali tuttavia i giudizi negativi, sebbene minoritari, sono tutt’altro che trascurabili (25% e 28%).
Non stupisce quindi che i pronostici sulla durata del Conte II vedano prevalere l’ipotesi di un esecutivo di breve respiro, che rimarrà in carica pochi mesi, al massimo un anno (il 45% la pensa così), il 20% immagina una durata di due anni, mentre solo il 18% è convinto che durerà sino alla fine della legislatura nel 2023.
Insomma, lo scetticismo è diffuso e serpeggia anche tra pentastellati e dem. Indubbiamente per recuperare consenso saranno cruciali i punti di convergenza tra le due forze di governo e i temi dell’agenda.
La convergenza tra due soggetti che fino a poche settimane fa si consideravano acerrimi avversari non è semplice, anche se le Europee hanno fatto registrare non solo una pesante perdita di voti per il M5S (circa 6,2 milioni) ma anche un profondo cambiamento nella composizione del proprio elettorato: infatti la componente che si dichiara di centrosinistra (33%) prevale nettamente su quella che si considera di centrodestra (13%), mentre la maggioranza non si riconosce nell’asse sinistra-destra. Ciò significa che oggi teoricamente vi sono più elementi di compatibilità tra le due forze della neonata maggioranza, ma vanno esplicitati.
Riguardo all’agenda di governo, nel sondaggio odierno abbiamo preso in considerazione alcuni punti chiedendo agli intervistati di indicare le due proposte più gradite e le due che prevedono verranno adottate prioritariamente dal Conte II. Riguardo alle aspettative prevale nettamente (71%) la possibile manovra economica a vantaggio dei ceti più deboli (stop all’aumento dell’Iva, rilancio del salario minimo, taglio del cuneo fiscale), seguita dal taglio del numero dei parlamentari (45%) e dagli incentivi per uno sviluppo economico basato sulla sostenibilità ambientale (24%). A distanza si collocano gli investimenti a favore del Sud (17%), le misure che favoriscano l’autonomia regionale differenziata e le modifiche al decreto sicurezza con posizioni meno rigide sul tema dell’immigrazione (entrambe auspicate dall’11%) e da ultimo una legge che regoli i conflitti d’interesse e favorisca uno sganciamento della Rai dalla politica (solo 6%). Insomma, le priorità per gli italiani risultano il sostegno ai ceti deboli e la riduzione delle diseguaglianze, i costi della politica, la crescita economica green. E solo una piccola quota giudica importante intervenire sul decreto sicurezza (persino tra i dem solo il 24% lo indica urgente).
I pronostici dei cittadini non convergono completamente con le loro aspettative, quanto meno in termini numerici: il 44% è del parere che il governo si occuperà prioritariamente della manovra a vantaggio dei ceti deboli (auspicata dal 71%), il 37% del taglio dei parlamentari (-8% rispetto ai desiderata) e 30% della revisione del decreto sicurezza (in realtà richiesta solo dall’11%). E uno su tre non sa indicare quali saranno gli interventi su cui si concentrerà l’azione del governo.
La strada è in salita, non solo perché qualcuno ha posto fine ad un’esperienza giudicata positivamente, ma anche perché non è facile affermare proposte alternative a quelle che fino a luglio avevano mietuto consenso nella maggioranza dell’opinione pubblica, cioè i provvedimenti-simbolo legittimati dal «contratto» M5S-Lega: quota 100, reddito di cittadinanza, chiusura dei porti e decreto sicurezza, su tutti. Ma potrebbe non essere una sfida impossibile tenuto conto che mai come negli ultimi anni le opinioni risultano volatili, rivelano spesso ambivalenze e contraddizioni e sono più influenzate dalle percezioni che dalla realtà. Dunque, come al solito, molto dipenderà dalla comunicazione.