Ridurre le tasse sul lavoro a «totale vantaggio» dei lavoratori. Individuare una giusta retribuzione (leggasi salario minimo), garantendo, al tempo stesso, le «tutele massime» a beneficio degli occupati, anche attraverso il meccanismo dell’efficacia erga omnes dei contratti collettivi firmati dalle organizzazioni più rappresentative. Accanto a ciò un rafforzamento di Impresa 4.0 e misure specifiche per le pmi. Il capitolo “lavoro e impresa” diventa un po’ più nutrito nelle 29 “linee programmatiche” del nuovo governo Conte. Siamo ancora a poco più di titoli; e continua qualche altra “dimenticanza”.
Nella prima pagina del documento si conferma la necessità di intervenire sul cuneo fiscale. Il punto di incontro, messo nero su bianco, è che l’intervento dovrà guardare esclusivamente i lavoratori, con l’obiettivo di aumentare i loro salari. Le ricette dei due azionisti di governo, M5S e Pd, restano tuttavia distanti: i primi legano la misura al decollo del salario minimo, con l’effetto di sterilizzare l’aggravio di costi per le imprese. I dem invece propendono per un meccanismo di detrazioni fiscali, che assorbirebbero anche gli “80 euro”, di fatto generalizzandoli pure a fasce di reddito oggi escluse (ad esempio, incapienti e lavoratori con oltre 26.600 euro). Si tratterebbe di una riduzione del cuneo che andrebbe a vantaggio dei soli lavoratori (in questo la proposta dem è più in sintonia con le linee programmatiche del nuovo governo) che, secondo le simulazioni fatte in casa Pd, comporterebbe un aumento delle retribuzioni fino a 1.500 euro netti l’anno (i costi sono stimati in 15 miliardi in tre anni).
Anche sul salario minimo le posizioni restano distanti; e non a caso la formulazione nel documento programmatico è rimasta solo un titolo. Per i grillini la proposta è quella di fissare un minimo orario per legge a 9 euro lordi, validi per tutti; il Pd invece preme per salvaguardare i Ccnl (che verrebbero spiazzati da un secco intervento legislativo). Il capitolo lavoro tratteggiato nel programma M5S-Pd indica pure il giusto compenso anche per gli autonomi, una legge sulla parità di genere nelle retribuzioni, una legge sulla rappresentanza sindacale, «sulla basi di indici rigorosi», più imprenditoria femminile e conciliazione vita-lavoro, oltre a un piano strategico per prevenire gli infortuni sul lavoro.
Nel documento manca qualsiasi riferimento agli incentivi alla contrattazione di secondo livello, che negli ultimi anni ha avuto una forte spinta in avanti (le attuali misure agevolative sono limitate, e non strutturali, come chiedono le imprese); e non si parla neppure di scuola-lavoro (in Italia esiste un “mismatch” elevatissimo specie di profili tecnico-scientifici di cui si continua a non interessarsi).
Per l’industria il programma definitivo rimedia ad alcune evidenti dimenticanze della bozza che era stata pubblicata sulla piattaforma Rousseau. Si cita espressamente ad esempio «il rafforzamento degli incentivi per gli investimenti privati» ed il piano Impresa 4.0 come «strada tracciata da implementare e rafforzare». Un impegno che, stando ad alcuni dettagli emersi nei giorni scorsi, dovrebbe concretizzarsi in una valorizzazione degli investimenti più sostenibili sotto il profilo ambientale. Entra nel testo anche un impegno, per quanto molto generico, a «potenziare gli interventi in favore delle piccole e medie imprese». Sempre in ottica “green economy” si prevede anche di istituire un «fondo che valga a orientare, anche su base pluriennale, le iniziative imprenditoriali». Rispetto alla prima bozza, entra anche un riferimento diretto allo stop alle trivellazioni per idrocarburi, per quanto limitato solo alle future operazioni e solo a quelle per l’estrazione. Sulla gestione dei rifiuti ci si limita all’impegno a realizzare «impianti di riciclaggio e, conseguentemente, a ridurre il fabbisogno degli impianti di incenerimento».
Ci sono anche riferimenti al bisogno di aumentare ancora gli investimenti in startup e Pmi innovative (proseguendo quindi sulla spinta al venture capital) e al sostegno per il made in Italy anche attraverso «un adeguato modello di condivisione dei rischi tra Sace e ministero dell’Economia». Sono invece assenti anche nel programma definitivo gli argomenti potenzialmente più divisivi come la gestione delle crisi aziendali, i casi ex Ilva e Alitalia, la politica energetica e la posizione da tenere sui grandi trattati del commercio internazionale.