Elsa Fornero può sicuramente dire in questi giorni che il tempo si sta rivelando ancora una volta galantuomo. Vuoi perché il leader della Lega Matteo Salvini che aveva organizzato contro di lei una sorta di «caccia al ministro» si sta leccando le ferite ma soprattutto perché ieri dall’autorevole tribuna dell’Ocse è giunta una validazione ex-post delle sue scelte in materia di età pensionistica e sostenibilità del welfare. Con un report globale presentato a Tokyo (titolo: Working better with age), e che ha come tema l’invecchiamento e le politiche per l’occupazione, l’Ocse lancia l’allarme. Entro il 2050 in Italia il numero dei pensionati sarà superiore a quello dei lavoratori.
Molti Paesi occidentali condividono il problema perché l’aumento dell’aspettativa di vita riguarda tutto l’Occidente ma da noi si andrà a creare nel tempo un cocktail micidiale: l’aumento del numero dei pensionati a carico delle casse previdenziali si sommerà al «buco» demografico visto che mancheranno all’appello — secondo le previsioni questa volta dell’Istat — circa 6 milioni di potenziali lavoratori. I Paesi che saranno colpiti più di altri da questo mix deleterio sono per l’appunto Italia, Grecia e Polonia. Meno la Francia che ha fatto registrare buoni risultati nelle politiche di incentivazione demografica.
A complicare il quadro e a proiettare nell’immediato futuro numeri e situazioni difficilmente arginabili per il budget statale c’è un ulteriore elemento: in questi anni l’età del pensionamento non si è affatto allungata nella media dei Paesi Ocse tanto che i ricercatori hanno stabilito un parallelo (inedito) tra oggi e 30 anni fa. Tanto per capirci i tempi in cui esistevano ancora quelle che chiamavamo baby pensioni e si risolvevano le crisi di interi settori industriali con massicce dosi di prepensionamenti di operai e impiegati. Da allora, sembra incredibile, ma per i grandi numeri non è cambiato molto e provvedimenti come la legge Fornero sono stati tentativi di raddrizzare la situazione oramai in zona Cesarini.
Ma oltre a favorire l’affinamento dell’analisi e del dibattito tra gli studiosi a cosa può servire il report dell’Ocse con la sua fosca previsione di una società assistenziale in cui chi lavora è destinato ad andare in minoranza? Non è questa la sede per analizzare i riflessi politici di questo scenario, con un rafforzamento delle platee elettorali degli over65 e quindi di una componente «anzianista» del consenso e della mediazione, può essere utile invece proiettare le analisi dell’Ocse dentro la particolare congiuntura politica italiana e le imminenti scelte di bilancio.
Ebbene, c’è un provvedimento del primo governo Conte che sicuramente impatta con quanto riferito finora ed è la mini-riforma previdenziale di quota 100. Una misura, in sede di incubazione era stata presentata — con una propaganda a tratti martellante — come una sorta di riparazione dei «guasti» della legge Fornero e aveva fatto lucrare ampi consensi soprattutto alla Lega, ma nei fatti non aveva avuto tutto il successo preventivato. E’ stata utilizzata, infatti, da una platea più ristretta di quella ipotizzata dai suoi supporter politici (160 mila persone in tutto). Ma alla luce di quanto ci suggerisce l’allarme azionato da Tokyo ha senso insistere in questa direzione? Andrea Garnero, economista presso il direttorato per l’occupazione e gli affari sociali dell’Ocse sostiene di no. «Quota 100 si è rivelata poco equa nei trattamenti tra i diversi segmenti dei pensionandi, costosa e non strettamente necessaria dal punto di vista macro-economico — spiega Garnero —. Sia chiaro l’Ocse non pretende che lavorino tutti indiscriminatamente fino a tardissima età ma pensa che il ritiro debba essere governato con strumenti flessibili che allunghino i tempi di uscita ma che contemperino le esigenze dei singoli e quelle delle imprese. Magari con forme di part time negli ultimi anni di lavoro».
Di quota 100 sentiremo parlare nei prossimi giorni nelle trattative per la formazione del secondo governo Conte. In linea teorica il provvedimento scade nel 2021 e deve essere rifinanziato (nel 2020 costerebbe 4,9 miliardi) ma occorrerà vedere quali orientamenti in materia di lavoro e welfare risulteranno vincenti nel braccio di ferro tra i partiti e all’interno degli stessi. Ma se il bi-premier consultasse una copia del report Ocse non sbaglierebbe.