Un anno fa l’idea di vedere entrare il Movimento 5 stelle al governo faceva tremare le vetrate di palazzo Mezzanotte e crollare l’indice della Borsa ivi ospitata. Beppe Grillo tuonava contro i poteri forti, la Casaleggio e Associati teorizzava la fine della democrazia rappresentativa destinata a essere sostituita da un progetto di democrazia diretta sinistramente vicina agli esperimenti cambogiani di Pol Pot e Gigetto di Maio pensava a garantire redditi di cittadinanza (promessa poi mantenuta) ideali per sostituire la produttività con la sussistenza impreziosita dall’aggiunta di un luddismo innervato di demenziale decrescita felice. Tutte ricette invise ai mercati, permeate di una cultura contraria all’impresa e quindi poco potabili a Nord Est. Tanto è vero che Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, in occasione dell’assemblea degli industriali vicentini nella sede della Diesel, dichiarò più o meno apertamente che tra il giallo grillino e il verde (diventato ormai blu) della Lega la sua preferenza cromatica andava al secondo azionista di un governo sovranista ancora in cerca di autore.
Cosa sia successo non si sa. O meglio, si sa benissimo, basta chiedere a Matteo Salvini. Fatto sta che ieri, poco dopo il discorso bizzoso di Di Maio che si rimangiava tutte le aperture fatte al Pd il giorno prima (forse perché si era nel frattempo reso conto che la stella di Giuseppe Conte aveva finito con l’offuscare definitivamente la sua), allontanando l’ipotesi di un nuovo governo giallorosso, i listini sono immediatamente crollati e lo spread con il Bund è tornato ad aumentare pericolosamente. Com’è che, improvvisamente, i mercati si sono messi a fare il tifo per il movimento anti-mercato per eccellenza? Delle due, l’una: o i mercati sono impazziti, o il movimento non fa più paura perché si è, come dire, imborghesito. Siccome i mercati non impazziscono, più facile che sia cambiato il M5S, considerato improvvisamente “amico”. Anche perché sarebbe sul punto di dare vita a un governo garantito dalla presenza di un premier gradito a Bruxelles e alla signora Ursula von der Leyen, presidente di una Commissione europea a trazione Macron-Merkel, un tempo vista come il fumo negli occhi da Di Battista e C. e oggi invece in sella grazie ai voti, decisivi, proprio dei 5 stelle. Aggiungiamoci poi la convergenza programmatica con il Pd fino a ieri di Bibbiano e si capisce come la metamorfosi del firmamento grillino abbia finito col far suonare a festa le campanelle di palazzo Mezzanotte.